21-09-2004
'SATURDAY NIGHT FEVER'
‘rivisitato’
da Alan J-K-68 Tasselli
Il
1978, l’anno in cui spopolo’ definitivamente il ‘verbo’ della
Disco-Music, segno’ simbolicamente il decisivo e definitivo passaggio dalla
generazione post-sessantottina, che sul finire dei Settanta dava forti segni di
cedimento ideologico e culturale, ad un nuovo, contagioso ‘trend-sociale’
che passera’ alla Storia sotto la definizione de ‘LA FEBBRE DEL SABATO
SERA’.
Uscito
nel Dicembre 1977, il film diretto da John Badham ed interpretato da uno
smagliante, ultra-energico John Travolta si impone immediatamente come fenomeno
di costume, uno spaccato sui nuovi ‘propositi e tendenze giovanili’, in
netta antitesi con le sognanti utopie degli idealisti pacifisti rivoluzionari
che avevano rappresentato, socialmente e culturalmente, il ‘cuore pulsante’
della gioventu’ Americana a cavallo tra la fine degli anni Sessanta e la prima
meta’ dei Settanta.
‘FUCK
THE ART, WE WANNA DANCE’ – ‘AL DIAVOLO L’ARTE, VOGLIAMO SOLO
BALLARE!…’ – era lo slogan iconografico di quel periodo: la nuova
generazione americana lascia da parte, dimentica, annichilisce e ‘butta nella
spazzatura’ tutti quegli orpelli e pretenziosita’ filo-politiche che avevano
contraddistinto l’era precedente: l’insoddisfazione e feroce inquietitudine,
sia economica che psicologica, del ventenne-medio-americano viaggia di pari
passo con un’ altrettanto roboante, rabbiosa voglia di riscatto sociale.
Tratto
da un articolo (che anni dopo si scoprira’ essere stato del tutto inventato)
scritto e pubblicato dal giornalista-rock Nick Cohn (‘I riti tribali del
Sabato Sera’), ‘SATURDAY NIGHT FEVER’ costituira’ lo specchio,
piu’ o meno fedele, del teen-ager di fine anni ’70 particolarmente
insofferente verso una Nazione che, umanamente parlando, persevera
diabolicamente nel divorare se’ stessa; Nazione, Paese del quale non si sente
piu’ ‘onorato cittadino’: la maggior parte di questi ‘disperati’
proviene da un ceto sociale medio-basso, a ridosso del piu’ precario
proletariato: uno di questi e’ egregiamente interpretato e portato sul grande
schermo da un appena 23enne John Travolta il quale, nei panni dell’iper-adrenalinico
maniaco del ballo Tony Manero, riunisce in se’ tutte le energie (sia fisiche
che psichiche) accumulate dopo una dura settimana di lavoro, onde presentarsi,
luccicante, eccitante, magnetico piu’ che mai, il Sabato sera alla discoteca
‘ODISSEY 2001’, suo ideale, intoccabile Tempio, sorta di Mecca per tutti i
discomaniaci desiderosi di ‘ribaltare’ anche se solo per un paio d’ore,
un’esistenza vuota ed incolore.
Ma
sotto il sudore su quella pelle cosi’ viva e virile e dietro i magici volteggi
di un corpo perfettamente sintattico nell’eseguire con precisione quasi
matematica passi sempre piu’ difficili ed ambiziosi, si cela il ‘VERO
cuore’, la reale essenza del film: un sopraffacente, agghiacciante senso di
impotenza giovanile: Manero ed i suoi, altrettanto emotivamente debilitati
compagni di scorribanda sembrano scorgere il Nulla piu’ assoluto, sentimento
generazionale che, nel corso delle ultime stagioni, ha provocato un ‘trend’
di spersonalizzazione e pressoche’ totale perdita d’identita’. Sorta di
‘atroce retrocessione morale’, istigatrice di inedite, barbare forme
di violenza: i ragazzi che si apprestano ad entrare nel decennio decisivo e
piu’ incerto della loro vita naufragano gia’ nell’attesa, spasmodica
quanto vana ed irrisolta, di un futuro che non c’e’, un futuro che, si
presume con acido sospetto e fatali illusioni, non si affaccera’ mai dinanzi
alle loro coscienze sempre piu’ isolate e bistrattate, inquinate
dall’annientamento di ogni forma di solidarieta’ umana.
Manero/Travolta
e’ perfettamente conscio di questo terribile ‘gap’ e talvolta la
rassegnazione dettata da una condizione esistenziale senza sbocco alcuno, viene
magistralmente espressa sul suo volto compatto ed al contempo smarrito.E’ una
gioventu’ inetta, insipida, assai poco fantasiosa: respirano aria di
smarrimento ed hanno il disorientamento emotivo nelle vesti di unico accertato
comune denominatore esistenziale.
Artisticamente
parlando, ‘LA FEBBRE DEL SABATO SERA’ e’ tutt’altro che pellicola
memorabile: la trama e’ risibile, quasi ‘invisibile’, e la sceneggiatura
infarcita di abbondanti dosi di trivialita’, a sottolinearne la sintassi brada
e sconnessa: d’altronde esso deve essere stato concepito piu’ come
immaginario collettivo dell’epoca che come prodotto dall’elevato spessore
qualitativo incline ad evidenziare un’involuzione storico-culturale-sociale
del Paese apparentemente sempre piu’ inarrestabile. Certo, qui siamo lontani
anni-luce dallo sferzante, assai piu’ profondo e devastante ritratto
newyorkese offerto l’anno prima da Martin Scorsese in TAXI DRIVER. Sebbene non
possa fare a meno di ammettere che i due film abbiano, comunque, almeno un punto
in comune: il tema dell’alienazione, la rappresentazione della cosiddetta ‘no-generation’.
Cosi’ come entrambe le pellicole convergono su di un amaro ma al contempo
‘liberatorio’ epilogo: alla fine del film, quando Tony si confida con la sua
compagna di ballo Stephanie Mangano, egli appare trasformato, maturato; differente;
risulta percepibile una presa di coscienza fino a pochi attimi prima insperata:
Manero/Travolta sta ultimando la sua delicatissima fase di transizione emotiva:
in altre parole, si sta apprestando a lasciarsi alle spalle, e definitivamente,
quello spodestante malessere esistenziale che avrebbe potuto condurlo verso un
ipotetico destino da sbandato o, ancor piu’ grave, verso una vita,
professionale e privata, fondata su di un’assoluta mancanza di stimoli ed
ideali, valori, elementi, questi, cosi’ fottutamente determinanti per lo
sviluppo interiore di un giovane che ha intenzione di affrontare un nuovo,
sconosciuto ed inesplorato mondo.
Un
mondo, si spera, fatto di vita, gioia e successi VERI, REALI, AUTENTICI.
ALAN
J-K-68 TASSELLI (LUCA COMANDUCCI)
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