Nel
1976 l'America stava vivendo uno dei momenti piu' critici e controversi
della
sua duecentenaria storia: tra la fine degli anni '60 ed i primi anni '70,
la
Guerra in Vietnam, la 'Sporca Guerra', aveva annientato giovanissime vite,
ragazzi
nemmeno ventenni falciati implacabilmente dall'assurda ipocrisia
guerrafondaia
americana, la quale, in nome del 'sacro comandamento' dettato dal
potere
capitalistico /multimediatico, ignoro' ottusamente e senza scrupolo
alcuno,
gli effetti devastanti che ne sarebbero derivati non solo in termini
puramente
militaristi ma anche (e soprattutto) in termini di immagine di Paese
fondato
sulla Democrazia e sulla liberta' di esprimere la propria opinione.
Ma,
sebbene le vittime trucidate in Vietnam andranno a formare, tra le giovani
menti
americane, un profondo, destabilizzante sentimento di amara, acida
disillusione,
il piu' grande K.O. inferto all'apparentemente irreprensibile,
inattaccabile
establishment statunitense sarebbe stato causato da quello che a
tutt'oggi
e' considerato 'Lo Scandalo Politico del Secolo': il 'WATERGATE'.
Attraverso
il 'Watergate' l'America smarrisce drammaticamente se stessa, non si
riconosce
piu' nei propri ideali di Paese libero ed all'avanguardia:
improvvisamente
gli anni '70 assumono le sembianze di 'condotti oscuri' lungo i
quali
la coscienza di un popolo fino a pochi mesi prima altamente orgoglioso
della
propria nazione, tutto d'un tratto si trova costretto a confrontarsi con
limiti
e trasgressioni di un Sistema che sembrava inespugnabile, moralmente,
socialmente
e politicamente perfetto.
'TAXI
DRIVER' di Martin Scorsese (1976) e', forse, lo 'specchio' piu'
deliberatamente
decadente di questo penoso processo di regressione sociale e
culturale:
attraverso la figura di un insonne tassista (magistralmente
interpretato
da un Robert De Niro in stato di grazia assoluta), la macchina da
presa,
ficcante, spregiudicata ed attentissima ai dettagli, fornisce allo
spettatore
uno spiazzante, cinico, 'terremotante' spaccato di quella 'miserabile
umanita'
che sembra vomitare da ogni angolo di ghetto newyorkese, certo un
immaginario
molto piu' simile ad un moderno Inferno Dantesco che ad 'ordinari
avvicendamenti
notturni da Metropoli in costante, irrefrenabile fermento'. Gia'
dalle
prime oscure, tumultuose, agghiaccianti note in apertura, a fare da
contrappunto
ad un mephistofelico fumo rosso che sembra quasi voler
minacciosamente
uscire dal grande schermo onde inghiottire spettatori gia'
carichi
di tensione ed aspettativa, si schiude dinanzi ai nostri occhi una
dimensione
in netta, sferzante antitesi alla vitalita' da grande metropoli che
funge
da comune denominatore durante i concitati, nevrotici avvicendamenti
diurni:
subentra, come una lunga, opprimente ombra appesa al cielo, la notte: e'
come
se le fogne, durante il giorno ordinarie 'spugne' assorbitrici del
disordine
e sciattoneria altrui, si 'capovolgessero', vomitando ogni forma di
marciume
sulle strade della citta',.
Drogati,
prostitute, spacciatori, magnaccia, criminali di ogni tipo assumono
sembianze
di 'zombie notturni' senza una meta: non attendono che la notte onde
resuscitare
e rituffarsi nel grande calderone di peccato e lussuria che senza
sosta
alcuna continua a girare diabolicamente, incessantemente su se stesso,
fino
a toccare il vertice supremo di auto-distruzione, meta ultima di una
esistenza
passata in mezzo al degrado piu' totale ed irreversibile: New York
diviene
un immenso bordello, dal quale entrano ed escono personaggi dal dubbio
passato
e dal futuro ancora piu' incerto. E' al centro di questo malato
caleidoscopio
suburbano che irrompe, silenziosamente, la figura di Travis
Bickle,
tassista piu' per sopravvivenza psichica che per mera necessita'
economica:
attraverso il suo insormontabile, quasi raccapricciante malessere il
volto
dell'America assume connotati sinistri, decadenti, cinici: non c'e'
speranza
di avere accesso all'intimita' altrui: 'ognuno per se, e nessuno per
nessuno',
un'acida, sprezzante incomunicabilita' regna sovrana nella grande
citta'
e sembra lasciare agli iper-sensibili di turno nessuna possibilita' di
riscatto
sociale, nessuna forma di integrazione umana. Bickle/De Niro e'
l'emblema,
l'icona di questa sorta di 'dissociazione metropolitana',
dissociazione
derivante dalla spregevole, inquinante ottusita' mentale che
impazza
e detta legge ovunque: poche pellicole come TAXI DRIVER hanno saputo
cosi'
efficacemente fornire un quadretto di terrificante disumanita' ed
'oscuramento
sociale'; la visualita' di quel fetore notturno strascicato lungo
le
strade umide ed incerte della Metropoli e' cosi' spesso ed al contempo
'presente'
e sopraffacente che si ha quasi l'impressione possa venire 'annusato'
persino
dallo spettatore al di la' dello schermo.
Travis
Bickle non e' che l'ennesimo martire sopravvissuto alla Guerra del
Vietnam,
sebbene ora egli sia costretto ad affrontare un altro genere di
'orrore':
una estrema solitudine, la quale giorno dopo giorno diviene sempre
piu'
insostenibile: a questo stato mentale gia' di per se' drammatico nel suo
gelido
senso di vuoto, si sovrappone, altrettanto spietato, un sentimento di
implacabile
insofferenza verso le massicce dosi di 'violenza notturna' e
caustico
degrado morale espresso dagli infiniti 'lati oscuri notturni' dei
ghetti
newyorkesi. 'TAXI DRIVER' dunque assumera' i connotati di 'somma elegia'
ad
una nevrosi collettiva dettata dalla perdita di qualsiasi punto di
riferimento,
per giungere infine ad uno stato di saturazione psichica al di la'
del
quale potrebbe schiudersi il Nulla. E' a questo stadio di atroce repressione
umana
ed emotiva che Bickle dara' vita (passando attraverso una delle piu'
memorabili
metamorfosi psico-fisiche che la Storia del Cinema ricordi) all'
'anarchico
guerriero metropolitano' che, da solo contro tutti,
nell'apocalittico,
indimenticabile finale, spazzera' via, sia fisicamente che
simbolicamente,
tutta la merda ingoiata fino a quel momento, aprendo nel nostro
immaginario
collettivo un piccolissimo, per quanto breve e splendidamente
poetico,
varco di illuminante speranza, quella stessa speranza che Travis, solo
giorni
addietro, vedeva come Dea irraggiungibile, troppo lontana persino da desiderare.
…per
poi, con impareggiabile, ammirevole eleganza, tornare ad essere il Travis
Bickle
di sempre, sebbene senza piu' quell'ombra di vendetta minacciosa ed
incombente
che fino a pochi istanti prima premeva ossessivamente sulla sua
ultra-ricettiva
coscienza di uomo sperduto e, chissa', ora ritrovato ed in pace con se' stesso.
…gia',
la pace… quell'estremo, beatificatorio senso di sollievo che traspare,
lucente
ed al contempo intriso di grigia malinconia, dai fotogrammi finali di
questa
immortale, imprescindibile, determinante 'magnum opus' cinematografica
del
Ventesimo Secolo.
just nothing more than your 'ordinary Travis Bickle
of this Third Millennium'…
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