21-09-2004

 

 

TAXI DRIVER secondo Alan J-K-68 Tasselli

 

Nel 1976 l'America stava vivendo uno dei momenti piu' critici e controversi

della sua duecentenaria storia: tra la fine degli anni '60 ed i primi anni '70,

la Guerra in Vietnam, la 'Sporca Guerra', aveva annientato giovanissime vite,

ragazzi nemmeno ventenni falciati implacabilmente dall'assurda ipocrisia

guerrafondaia americana, la quale, in nome del 'sacro comandamento' dettato dal

potere capitalistico /multimediatico, ignoro' ottusamente e senza scrupolo

alcuno, gli effetti devastanti che ne sarebbero derivati non solo in termini

puramente militaristi ma anche (e soprattutto) in termini di immagine di Paese

fondato sulla Democrazia e sulla liberta' di esprimere la propria opinione.

Ma, sebbene le vittime trucidate in Vietnam andranno a formare, tra le giovani

menti americane, un profondo, destabilizzante sentimento di amara, acida

disillusione, il piu' grande K.O. inferto all'apparentemente irreprensibile,

inattaccabile establishment statunitense sarebbe stato causato da quello che a

tutt'oggi e' considerato 'Lo Scandalo Politico del Secolo': il 'WATERGATE'.

Attraverso il 'Watergate' l'America smarrisce drammaticamente se stessa, non si

riconosce piu' nei propri ideali di Paese libero ed all'avanguardia:

improvvisamente gli anni '70 assumono le sembianze di 'condotti oscuri' lungo i

quali la coscienza di un popolo fino a pochi mesi prima altamente orgoglioso

della propria nazione, tutto d'un tratto si trova costretto a confrontarsi con

limiti e trasgressioni di un Sistema che sembrava inespugnabile, moralmente,

socialmente e politicamente perfetto.

'TAXI DRIVER' di Martin Scorsese (1976) e', forse, lo 'specchio' piu'

deliberatamente decadente di questo penoso processo di regressione sociale e

culturale: attraverso la figura di un insonne tassista (magistralmente

interpretato da un Robert De Niro in stato di grazia assoluta), la macchina da

presa, ficcante, spregiudicata ed attentissima ai dettagli, fornisce allo

spettatore uno spiazzante, cinico, 'terremotante' spaccato di quella 'miserabile

umanita' che sembra vomitare da ogni angolo di ghetto newyorkese, certo un

immaginario molto piu' simile ad un moderno Inferno Dantesco che ad 'ordinari

avvicendamenti notturni da Metropoli in costante, irrefrenabile fermento'. Gia'

dalle prime oscure, tumultuose, agghiaccianti note in apertura, a fare da

contrappunto ad un mephistofelico fumo rosso che sembra quasi voler

minacciosamente uscire dal grande schermo onde inghiottire spettatori gia'

carichi di tensione ed aspettativa, si schiude dinanzi ai nostri occhi una

dimensione in netta, sferzante antitesi alla vitalita' da grande metropoli che

funge da comune denominatore durante i concitati, nevrotici avvicendamenti

diurni: subentra, come una lunga, opprimente ombra appesa al cielo, la notte: e'

come se le fogne, durante il giorno ordinarie 'spugne' assorbitrici del

disordine e sciattoneria altrui, si 'capovolgessero', vomitando ogni forma di

marciume sulle strade della citta',.

Drogati, prostitute, spacciatori, magnaccia, criminali di ogni tipo assumono

sembianze di 'zombie notturni' senza una meta: non attendono che la notte onde

resuscitare e rituffarsi nel grande calderone di peccato e lussuria che senza

sosta alcuna continua a girare diabolicamente, incessantemente su se stesso,

fino a toccare il vertice supremo di auto-distruzione, meta ultima di una

esistenza passata in mezzo al degrado piu' totale ed irreversibile: New York

diviene un immenso bordello, dal quale entrano ed escono personaggi dal dubbio

passato e dal futuro ancora piu' incerto. E' al centro di questo malato

caleidoscopio suburbano che irrompe, silenziosamente, la figura di Travis

Bickle, tassista piu' per sopravvivenza psichica che per mera necessita'

economica: attraverso il suo insormontabile, quasi raccapricciante malessere il

volto dell'America assume connotati sinistri, decadenti, cinici: non c'e'

speranza di avere accesso all'intimita' altrui: 'ognuno per se, e nessuno per

nessuno', un'acida, sprezzante incomunicabilita' regna sovrana nella grande

citta' e sembra lasciare agli iper-sensibili di turno nessuna possibilita' di

riscatto sociale, nessuna forma di integrazione umana. Bickle/De Niro e'

l'emblema, l'icona di questa sorta di 'dissociazione metropolitana',

dissociazione derivante dalla spregevole, inquinante ottusita' mentale che

impazza e detta legge ovunque: poche pellicole come TAXI DRIVER hanno saputo

cosi' efficacemente fornire un quadretto di terrificante disumanita' ed

'oscuramento sociale'; la visualita' di quel fetore notturno strascicato lungo

le strade umide ed incerte della Metropoli e' cosi' spesso ed al contempo

'presente' e sopraffacente che si ha quasi l'impressione possa venire 'annusato'

persino dallo spettatore al di la' dello schermo.

Travis Bickle non e' che l'ennesimo martire sopravvissuto alla Guerra del

Vietnam, sebbene ora egli sia costretto ad affrontare un altro genere di

'orrore': una estrema solitudine, la quale giorno dopo giorno diviene sempre

piu' insostenibile: a questo stato mentale gia' di per se' drammatico nel suo

gelido senso di vuoto, si sovrappone, altrettanto spietato, un sentimento di

implacabile insofferenza verso le massicce dosi di 'violenza notturna' e

caustico degrado morale espresso dagli infiniti 'lati oscuri notturni' dei

ghetti newyorkesi. 'TAXI DRIVER' dunque assumera' i connotati di 'somma elegia'

ad una nevrosi collettiva dettata dalla perdita di qualsiasi punto di

riferimento, per giungere infine ad uno stato di saturazione psichica al di la'

del quale potrebbe schiudersi il Nulla. E' a questo stadio di atroce repressione

umana ed emotiva che Bickle dara' vita (passando attraverso una delle piu'

memorabili metamorfosi psico-fisiche che la Storia del Cinema ricordi) all'

'anarchico guerriero metropolitano' che, da solo contro tutti,

nell'apocalittico, indimenticabile finale, spazzera' via, sia fisicamente che

simbolicamente, tutta la merda ingoiata fino a quel momento, aprendo nel nostro

immaginario collettivo un piccolissimo, per quanto breve e splendidamente

poetico, varco di illuminante speranza, quella stessa speranza che Travis, solo

giorni addietro, vedeva come Dea irraggiungibile, troppo lontana persino da desiderare.

…per poi, con impareggiabile, ammirevole eleganza, tornare ad essere il Travis

Bickle di sempre, sebbene senza piu' quell'ombra di vendetta minacciosa ed

incombente che fino a pochi istanti prima premeva ossessivamente sulla sua

ultra-ricettiva coscienza di uomo sperduto e, chissa', ora ritrovato ed in pace con se' stesso.

…gia', la pace… quell'estremo, beatificatorio senso di sollievo che traspare,

lucente ed al contempo intriso di grigia malinconia, dai fotogrammi finali di

questa immortale, imprescindibile, determinante 'magnum opus' cinematografica

del Ventesimo Secolo.

 

ALAN J-K-68 TASSELLI (LUCA COMANDUCCI) …

just nothing more than your 'ordinary Travis Bickle of this Third Millennium'…

 

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