10-09-2004
DISCORRENDO
DI ‘WESTERN CREPUSCOLARE’: brevi accenni
Tra
la fine degli anni Sessanta e l'inizio dei Settanta la lunghissima epopea del
'Western' (forse il genere per antonomasia del Cinema Americano) subisce un calo
di interesse ed originalita' che si manifesta attraverso
un'inevitabile regressione culturale e sociale oramai apparentemente
irreversibile. Durante questo lasso di tempo il 'Classic Western' (quello,
tanto per intenderci, dei John Ford, Stewart Granger, John Wayne, Gary Cooper,
Robert Sturges, Richard Widmark, Henry Fonda, Howard Hawks) cessa virtualmente
di esistere: a sovrapporsi alla sua figura epica e mitologica
sara' il cosiddetto 'Western Crepuscolare', sorta di 'genere-satellite',
il quale, sebbene non avente lo stesso impatto 'social-storico-cinematografico'
delle trasposizioni 'classiche' del Vecchio West, manterra' pressoche' intatto
quel caratteristicamente magnetico, fascinoso status di 'epopea dispersa nel
tempo e vittima di offuscati ricordi', non prima pero' che nuove promettenti
personalita' del Cinema Americano di quel tempo attuino una drastica, in
alcuni frangenti spietata, revisione del concetto canonico di 'racconto legato
all'epico West': il Cinema Western vivra', dunque, un periodo di delicata
transizione, in bilico tra esaltazione di un passato all'insegna di una
virilita' che non si vuole oscurare ed un futuro ricco di incertezze e
titubanze. Saranno registi come CLINT EASTWOOD e, prima di lui, SERGIO LEONE
(mentore e maestro assoluto riconosciuto da Eastwood), ad offrire personalissime
ed accattivanti interpretazioni: nei film di Leone, la 'filosofia eroica' cosi'
cara al Western Classico viene soppiantata dalla consapevolezza di una violenza
spropositata ben piu' ancorata alla realta' di quanto si immagini, piuttosto che
'schiava' del cliche'-leggendario-eroico tramandato da generazione a
generazione: non manca un forte accento beffardamente ironico, nei confronti, si
suppone, di quella stessa, tronfia 'mitologia del West' che da tempo ha reso
sterile un filone che si prospettava come inesauribile ed insuperabile ma che al
medesimo tempo sembrava non accettare alcun tipo di rinnovamento stilistico e
cinematografico.
Nelle
pellicole-Western piu' significative di Eastwood non puo' dunque che emergere il
concetto lasciato in eredita' da Sergio Leone, sebbene il grande cineasta
americano accentuera', con rara sapienza ed intelligenza,
quel
senso di amarezza e rassegnazione trasmessogli dal suo inestimabile ispiratore e
mentore: col passare degli anni, Eastwood diverra' sempre piu' confidente ed
audace nell'uso di questa 'tecnica', cospargendo spesso e volentieri le sue
pellicole di un debordante, ma mai fastidioso 'cinismo da eterno crepuscolo':
in particolare nei suoi piu' riusciti e significativi 'modern-Western-anthems'
('GLI SPIETATI', 1992, che gli valse un meritatissimo e prima di allora mai
conquistato Oscar, 'IL TEXANO DAGLI OCCHI DI GHIACCIO', 1976, 'LO STRANIERO
SENZA NOME', 1973, solo per citarne alcuni) emerge il 'culto dell'anti-eroe',
colui cioe' che non ha mai bisogno di alzare la voce o dare vita a
'spacconate verbali' al fine di terrorizzare l'avversario e farlo fuggire: nei
personaggi crepuscolari, dissoluti e 'vagamente bohemiene' espressi da Eastwood
e' implicito, seppur emotivamente palpabile, un travaglio psicologico che
rischia di sconfinare nella piu' dolorosa, epica
rassegnazione tesa a decretare la sconfitta dell'uomo, un uomo che,
essendo anarchico e solitario, non puo' che difendersi con cinica, spropositata,
cieca violenza. Ne puo' derivare quindi un estremo bisogno di fuga, non solo di
carattere fisico bensi' e soprattutto di carattere spirituale.
Tra
i maestri esponenti di questa 'Nuova Ondata Del Western', vi e' il grande
ed indimenticato SAM PECKINPAH: il suo insuperato capolavoro 'IL MUCCHIO
SELVAGGIO' (1969) va doverosamente collocato tra i massimi Westerns di ogni
tempo, autentico caposaldo del 'crepuscolare' nonche' 'film-guida' e rivelatore
di nuove strade espressive da percorrere ed approndire negli anni a venire. La
sua filmografia non e' certo meno incisiva e originale di quella di Clint
Eastwood o di altri mostri sacri del genere quali John Sturges e John Ford:
questi ultimi hanno avuto l'innegabile merito di portare alla definitiva ribalta
il Western e di imporlo al pubblico di tutto il mondo in qualita' di 'puro
fenomeno storico-culturale made-in-America': Peckinpah ha, semplicemente,
stravolto i canoni e stilemi prima di allora considerati 'intoccabili', onde
'decomporli' in rappresentazioni all'interno delle quali si viene a creare un
clima di intensissima, terremotante tensione dove i protagonisti implicati nella
vicenda non possono sottrarsi ad un destino crudele ed infame che li condurra'
ad un 'tutti contro tutti', alla fine del quale nessuno uscira' vincitore.
Proprio 'IL MUCCHIO SELVAGGIO' e' esemplare, nella sua irruenza ed 'incendiarita'
sequenziale; l'apocalittica scena finale, girata in un drammatico, efficacissimo
'ralenty', vuole sottolineare l'eternita' di minuti che sembrano ore e di
secondi che trascorrono catatonici come minuti: un senso di progressiva
dissoluzione e di apparente irrisolvibilita', alla fine delle quali allo
spettatore ed ai protagonisti del film non rimarra' che l'amara consapevolezza
di un'ingovernabile disillusione, consci di non poter mai piu' fare marcia
indietro, oramai consegnati ad un infausto, minaccioso fato teso ad inghiottirli
attimo dopo attimo, fino ad una quasi certa auto-distruzione.
Ma
'crepuscolare', col tempo, ha assunto differenti significati, a testimonianza
della continua diversificazione ed evoluzione della Settima Arte: vorrei citare,
a tal proposito, un altro classico 'peckimpahiano': 'GETAWAY', edito nel 1972,
uno dei piu' riusciti 'melting-pot' dell'era post-western. Uno spaccato di
'sporca vita' caratterizzato da una carica silenziosa ma al contempo
irresistibile ed in perenne ascesa: avremo come risultato finale
una pellicola altamente spiazzante ed indimenticabilmente rocambolesca:
sorta di 'commistione-multi-genere' ovvero un ideale incontro tra 'road
movie', 'Western' e 'poliziesco'. 'GETAWAY' potrebbe rappresentare, insieme al
gia' citato 'IL MUCCHIO SELVAGGIO', il definitivo 'trademark' cinematografico di
Peckinpah: lentezza espressiva ma mai provocante noia, stile compassato ma al
contempo non eccessivamente 'laid-back' ('rilassato'), ritmo e sceneggiatura
serratissimi in perfetta sintonia ed alchimia con l''under-playing' recitativo
di uno Steve McQueen forse mai cosi' risoluto, spietato e 'pacatamente'
nevrotico: come risultato avremo due ore di asciutta tensione avente come
epilogo un.... 'NON-EPILOGO'... ennesima testimonianza di 'frattura' nei
confronti del 'classico' che vorrebbe sempre e comunque un finale, non importa
se positivo o negativo.
Infine
fra i responsabili dell'evoluzione, 'decomposizione' del genere inserirei piu'
che legittimamente il geniale ROBERT ALTMAN, il quale, consono al suo stile
ferocemente sarcastico-dissacratorio, con 'I COMPARI' (1971) frantumera' in
milioni di briciole la (sorpassata, deleteria, al limite di un'auto-parodia
sempre piu' palese e sconcertante) ideologia del 'Western Classico': ne
scaturira' una visione spietata ed acidissima verso una cultura che
probabilmente Altman stesso mai ha riconosciuto come tale.
E
lasciatemi concludere degnamente questo breve ma intenso capitolo dedicato al
'Western Crepuscolare' inserendo UN 'crepuscolare' per eccellenza: 'MEZZOGIORNO
DI FUOCO', diretto da Fred Zinnemann nel 1952. Come si suol dire in questi casi:
una pellicola in netto anticipo sui tempi, sia per la tensione narrativa scarna
ed essenziale riversata sullo schermo, sia per il sentimento di spiazzante
disillusione e rassegnazione disegnato sul volto di un Gary Cooper abbandonato
dalla gente del suo villaggio, snobbato proprio da quel popolo in cui lui
credeva e che non aveva mai esitato a difendere con ammirevole, stoico coraggio:
uno 'spaccato di vita' terribilmente realistico (tanto che, la leggenda narra,
Zinnemann lo giro' in tempo reale...): crudo, sincero, spietato. Amaro.
Amarissimo. Alla fine del vittorioso scontro, lo sceriffo Kane/Cooper lascera’,
desolato, un attonito, glacialmente silenzioso campo di battaglia: per lui non
conta piu' battersi per il prossimo, ma fuggire da una realta' e da persone in
cui ha smesso di credere. Per sempre.
Regna,
finale, un imbarazzante ma inevitabile cinismo: ‘MEZZOGIORNO DI FUOCO’
rimarra’ nella memoria dei veri amanti del Cinema soprattutto per la sua ‘anti-americanita’’:
piu’ che un Western di stampo classico si tratto’ di un serrato, drammatico
duello tra un tutore della legge
divenuto, suo malgrado, anarchico guerriero ed una banda di feroci criminali
senza scrupoli. Una pellicola dai tratteggiamenti insolitamente ‘umani’ e
non debordanti nella piu’ prevedibile e stantìa virilita’ del ‘cow-boy da
Vecchio West’ visto (o ‘sopportato’, fate voi) in centinaia e centinaia di
altre produzioni: in sintesi, un Western profondamente atipico, di carattere
introspettivo, memorabile nella sua semplicita’ di esecuzione.
In
definitiva: Sam Peckinpah deve averlo amato alla follia...!
Io
pure.
ALAN
J-K-68 TASSELLI (LUCA COMANDUCCI)
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