01-03-2004
URIAH
HEEP – VERY ‘EAVY VERY ‘UMBLE (VERTIGO – JUNE 1970)
Dopo
i MOBY GRAPE, m'imbatto volentieri in uno dei gruppi piu' sottovalutati,
snobbati e stroncati dalla critica rock: mi riferisco agli inglesi URIAH HEEP.
L'album di cui dibattero' con enorme piacere sara' l'ormai leggendario "VERY
'EAVY...VERY 'UMBLE...", loro prima opera, e dai veri esperti considerato
uno dei "dischi-manifesto" del primo hard-rock inglese (dominato
allora dalla invincibile triade LED ZEPPELIN - DEEP PURPLE - BLACK SABBATH,
tutt'ora l'indiscussa ed inconvertibile spina dorsale dell' hard inglese per
antonomasia). Uno dei motivi predominanti che caratterizzano il disco d'esordio
degli URIAH HEEP non verte prin- cipalmente sulla qualita' musicale del disco,
bensi' sulla famosissima (quanto infame) affermazione della carneade Melissa
Mills, allora (era il 1970) critica (?) musicale per il quotato ROLLING STONE:
"SE QUESTO GRUPPO SFONDERA', IO MI SUICIDERO'" - una frase che desto'
scalpore nell'ambiente musicale e che fece subito comprendere al gruppo quanto
dura e irta di traversie sarebbe stata la scalata verso il successo. I critici
si sono sempre (sadicamente) "divertiti" nell'affondare a piu' riprese
(e spesso senza alcun motivo che giustificasse tali acide critiche) i complessi
dei primi anni '70, complessi che proponevano azzardate quanto bizzarre miscele
di hard-rock dalle venature blues, ma talmente esasperate da far apparire la
loro proposta musicale spesso e volentieri "dissacratoria" ed ai
limiti della sopportazione "uditoria". Va anche doverosamente
sottolineato che questi gruppi erano sostenuti da un potenziale compositivo e
strumentale larga- mente superiore alla media, sebbene il loro desti- no si
sarebbe equamente diviso tra grande successo di pubblico e roventi,
destabilizzanti e corrosive critiche da parte di giornalisti musicali e critici
che forse (sostengo io) di competenza ne avevano ben poca, per non dire quasi
nulla. Fra i gruppi piu' martoriati e vilipendiati vi sono appunto gli URIAH
HEEP, "accompagnati" da BLACK SABBATH e GRAND FUNK RAILROAD, gli altri
"maestri ambasciatori" della prima ondata hard mondiale. Costoro, nel
proseguio degli anni forme- ranno la "grande triade degli incompresi",
finendo regolarmente sui taccuini degli addetti ai lavori piu' per denotarne le
lacune e le carenze composi- tive di un momento magari assai poco ispirato,
piuttosto che evidenziarne (come sarebbe stato piu' onesto fare) i meriti e le
competenze artisti- che od ammettere il successo commerciale fino a quel momento
ottenuto. Nulla di tutto cio': i critici o presunti tali si sarebbero presi
gioco pedissequamente di questo trio dalle grandi possibilita' mai del tutto
riconosciute, e sia gli HEEP e SABBATH che i GRAND FUNK sarebbero stati
"risarciti" dei soprusi subiti solamente un ventennio dopo, un lasso
di tempo che avrebbe loro permesso di essere piu' compiutamente e seriamente
valutati per cio' che avevano, sul campo, espresso molti anni addietro. Ed ho
scelto proprio il primo disco degli URIAH HEEP in quanto sostengo si tratti di
un'opera di indiscusso valore e di innegabile fascino, una, seppur a tratti un
po' dispersiva, sapiente miscela di hard "marcato" di venature gotiche
ed elaborate tessiture ed incroci vocali che avrebbero decretato il loro
personalissimo "trade mark". Hard-rock, questo si', ma contraddistinto
da un gusto per la melodia nettamente fuori del comune, erigendosi a portavoce
di una forma inedita di rock duro inglese solitamente "sepolto" da
tonnel- late di watt o poco piu'. In aggiunta a tutto questo VERY 'EAVY VERY 'UMBLE
possedeva un magnetismo ed un fascino che ho raramente riscontrato nelle opere
successive del complesso inglese. L'esordio degli HEEP e' una stramba amalgama
di spigoloso rock inframezzato da affascinanti partiture vocali, sulle quali
svetta l'appassionante, trascinante ugola di DAVID BYRON, a mio modesto parere
uno dei vocalist piu' sottovalutati di tutto il panorama rock: costui possedeva
una voce assai duttile ed espressiva, in grado di passare da tonalita' sofferte
e drammatiche ad altre di piu' ampio respiro, adattandosi egregia- mente alla
versatilita' che impera in questo disco. Gia' dal primo solco, il classico Heep
per eccellenza GYPSY, vengono tracciate, imperiosamente e chiarifi- catoriamente,
le coordinate del gruppo: sound monumentale, introdotto e diretto dal riff
incalzante e monolitico di MICK BOX, chitarrista non dotatissimo tecnicamente ma
capace di conferire pathos e colore alle composizioni del gruppo, nonche'
strumentista istintivo e viscerale nel suo approccio alla sei corde ed elemento
indispensabile quanto BYRON, all'interno della band. Completa il
"trio-madre" il tastierista KEN HENSLEY, uno dei maggiori "keyboard-players"
del panorama "hard/progressive", purtroppo anche lui vittima
dell'ottusa ignoranza che regnava allora fra gli addetti alla stampa musicale.
"GYPSY" apre superbamente VERY 'EAVY VERY 'UMBLE ed in pratica
sintetizza in soli sei minuti la straor- dinaria gamma strumentale del
complesso; riff, basso e tastiere procedono all'unisono, creando un martellante
muro di suono che ha il pregio di creare una magnetica attesa, interrotta
egregiamente dalla voce di DAVID BYRON, che in questo frangente rivela il suo
carisma di vocalist aggressivo e dalla vocalita' "alto-vibrato"
possente ed estremamente acuta. "GYPSY" prevede anche un arresto, e
trattasi di un intermezzo di stampo "dark-gotico" con vaghe allusioni
alla psichedelia, dominato dalle tastiere di HENSLEY e confinanti con i sinistri
fraseggi di BOX che pone fine alla parte centrale del brano onde reintrodurre la
possente vocalita' di BYRON. La traccia si conclude in pieno stile KING CRIMSON-
prima maniera, con tutti gli strumenti strizzati al massimo quasi in un
concitatissimo, coinvolgente finale; a dire l'ultima parola...anzi! l'ultimo
acuto sara' BYRON che completa cosi' un vero e proprio "orgasmo in
musica". Segue "WALKING IN YOUR SHADOW", introdotta da una
batteria sincopata che prelude al riff granitico e tellurico di un ispirato MICK
BOX; in questo fran- gente e' BYRON a fare la parte del leone, calibrando la sua
interpretazione alla perfezione e fungendo da ottimo elemento compensatore ai
cambi di direzione all'interno della traccia; sara' infatti il suo muscolare
vibrato ad offuscare gli altri strumenti, facendo comprendere subito chi sara'
il dominatore del disco. Dopo "WALKING IN YOUR SHADOW" assisteremo al
primo autentico "break" del disco, la bellissima, sfuggente e
decadente "COME AWAY MELINDA", che rivela,una volta di piu', quanto
versatile sia la gamma vocale di DAVID BYRON. Tale e' la levigatezza, la
dolcezza ed il pathos con cui il lead-singer interpreta questo drammatico
spaccato di Seconda Guerra Mondiale, che rievoca il ricordo che una bambina ha
di sua madre, deceduta proprio durante quella Guerra. BYRON tocchera' vertici
espressivi raramente raggiunti da altri vocalists del suo periodo, e s'imporra'
come talento dalla vocalita' originale e subito riconosci- bile. "LUCY
BLUES", la quarta traccia, chiude la prima facciata senza infamia e senza
lode, rappresentando l'unico vero punto debole di questo folgorante esordio. Il
brano in questione forse risente di certo accade- mismo, trascinato lungo tutto
il suo percorso, privan- dolo cosi' di mordente ed efficacia; "LUCY
BLUES" e' un lento molle, quasi cantato con poca convinzione e necessario,
con ogni probabilita', di maggiore spi- golosita' e accortezza, in particolare
per quel che concerne l'arrangiamento, francamente scollacciato e senza una
precisa identita'. Poco male, ora arriva il LATO B, e, gia' a partire dalla
travolgente, eccitante "DREAMMARE" ci viene fatto notare come il
gruppo sia ritornato, e nella maniera piu' convincente possibile, sul traccia-
to giusto: riff-"killer", spietato quanto basta per lasciare campo
libero ad un ispiratissimo BYRON, in vesti assolutamente imperiose, a riconferma
di tutta la possenza e versatilita' di cui il cantante inglese e' capace; dopo
le prime due strofe, si assiste ad un elettrico, spasmodico "break",
ad opera della chitarra, sapientemente satura, di MICK BOX, che, pur producendo
solo un paio di note o poco piu', stabilisce la sua fama di chitarrista poco
tecnico ma efficacissimo ed assai essenziale. Ad "avvolgere" questo
continuo crescendo magmatico di energia, muscolarita' e pathos musicale, sono le
straordinarie e complesse partiture vocali, a cui praticamente partecipano tutti
i membri del complesso, in modo da solidificare la gia' di per se' incredibile
potenza vocale di BYRON, mai cosi' a suo agio con gli URIAH HEEP. "REAL
TURNED ON", la seconda traccia del LATO B, e' un "hard" sanguigno
e piuttosto potente, sul quale svetta, una volta di piu', un BYRON, in questa
occasione mostrante una voce piu' acida ed aggressiva del solito. Discreto riff
di MICK BOX, e buon assolo nella parte centrale del brano, ma nulla piu'. Segue
"I'LL KEEP ON TRYING", oserei dire piuttosto tipico da parte dei primi
URIAH HEEP, con un inter- cedere gotico, contraddistinto, coadiuvato dal loro
classico gusto per l'epico, qui ai suoi massimi splendori. Ma la parte migliore,
ed autentico "high- light" del disco, avviene nella sezione centrale,
dove la band, sorprendentemente, si profonde in un "break-alla-BEACH-BOYS",
regalando all'ascoltatore di turno un momento di dolcissima ebbrezza, quasi come
fossimo "trasportati" verso un limpidissimo cielo e rimanessimo, in
un'atmosfera tra surreale e fantasy, in dolcissima, onirica sospensione....
davvero un intermezzo di grande effetto, che pone in evidenza le straordinarie
capacita' vocali in seno alla band londinese. Sul finire di questo stupefacente
break, irrompe, si sovrappone la chitarra iper-satura e tagliente di BOX,
impregnata di WAH-WAH fino al collasso nervoso..... Al termine di questo
concitato marasma musical-schizophrenico s'insinua, nuovamente, la voce
arrogante di BYRON, contrappuntata dagli usuali "epic-choirs" del
gruppo e da un basso e tastiera martellanti ed all'unisono,che
chiudono con vigore e spietatezza I'LL KEEP ON TRYING. E, dulcis-in-fundo,
avremo il VERO capolavoro di "VERY 'EAVY... VERY 'UMBLE..." - "WAKE
UP, SET YOUR SIGHTS", una composizione di chiara estrazione jazz, nonche'
ennesimo pretesto delle velleita' artistiche da parte degli HEEP; un sommo
esempio di versatilita' e, aggiungerei, anche di "inusualita'",
considerando il rilevante (e per nulla da sottovalutare) fatto che, per essere
un 1970, si tratto’ di una scelta piuttosto audace e morbidamente
provocatoria. E lo fu, senza ombra di dubbio, sebbene la critica perseverava
nelle proprie noiose, patetiche torture ai
danni del gruppo (e non solo, purtroppo). La voce di BYRON, inutile dirlo, e'
straordinaria e conferisce al brano una duttilita' ed una complessita' vocale
degna di nota, con il vocalist stesso che tende a doppiare la propria voce
creando effetti molto affascinanti e di notevole "appeal". In "WAKE
UP" c'e' tutta la classe degli URIAH HEEP: ritmica jazzata e sincopata, un
tripudio di sussulti manifestati dalla espressiva chitarra di Mick Box, in
definitiva un brano che segue diversi tracciati, le cui accentazioni ritmiche
sono multiformi: una composizione "instabile", che sembra seguire di
pari passo il testo, evocativo ma al tempo stesso ammonitorio, dal sapore e
“mood” vagamente anti-militarista. Alla fine di tanta concitata frenesia
musicale, giunge, in tutta la sua epica possenza, la voce-vibrato di DAVID BYRON,
che ci lascia il suo testamento di uomo in preda alla disperazione ed invocante
Dio, affinche' il Creatore blocchi questo eccidio, prima che egli lasci questo
mondo e muoia estremamente addolorato. I secondi finali sono quanto di piu'
bello ed immaginifico un disco di rock possa donare, una chitarra pizzicata
soffusamente, di stampo squisitamente onirico, talmente suggestiva da farci
cadere in un sonno pro- fondo, MOLTO profondo, ma talmente estatico e fluttuante
da non doverci porre alcun problema; i sospiri e il "feel" vocale di
BYRON compiono un piccolo prodigio di soavita' e leggerezza, mentre gli accordi
onirici profusi dalla chitarra di MICK BOX sottolineano la sensibilita’ e
versatilita’ di un musicista in costante ascesa creativa. Ed il sogno si
concluse. Alla fine di questo
solco, una cosa mi e' molto chiara: gli URIAH HEEP avranno prodotto dischi
persino migliori di questo, ma per certo nessuna delle successive produzioni
vantera' il pathos, il feel, l'appeal ed il magnetismo musicale di quest'opera
fin troppo discussa ma dall'immenso valore storico. Questa e' la mia vivace,
come sempre, opinione, ed essa appare essere inconvertibile. Come inconvertibile
fu l'epico magnetismo ed il gotico fascino di questo caposaldo del primo
hard-rock britan- nico. DA NON PERDERE!!! PAROLA.......
DI UN UOMO ASSAI GOTICO E DALLE DIVULGAZIONI… EPICHE.....
...A MAN IN FAVOUR OF HEEP....
as well as in favour of the most underrated groups ever..............
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