09-12-2002

 

 

 

LED ZEPPELIN'S THE SONG REMAINS THE SAME

 

Lo spettacolo....rimane sempre lo stesso....

 

 

Certo il sottoscritto Tasselli non e' mai stato un folle ammira-

tore del Dirigibile per antonomasia del Rock, ma questo

non puo' impedirmi dal redigere una lucida, quanto personale

retrospettiva su uno dei maggiori fenomeni musicali del XX°Secolo.

Non ho idea di quanti abbiano parlato del famigerato primo

"quadrilatero", ovvero i primi quattro LPs a portare la firma

LED ZEPPELIN, e poco mi importa. Anzi, quasi nulla. Nulla.

Non c'e' veramente nulla da aggiungere che non sia gia'

stato detto milioni e milioni di volte..... Che il gruppo capeggiato da

Jimmy Page e Robert Plant abbia costituito una svolta fonda-

mentale per l'evoluzione della musica rock del secolo (e Millen-

nio) passato e' fin troppo risaputo, e sarebbe assai arduo,

per non dire impossibile, reinterpretare le gesta dei nostri eroi

senza cadere in un ottuso e fine a se stesso, ingombrante,

volgare esercizio verbale, con il fatale rischio di raggiungere

i limiti prossimi ad un vero e proprio "abuso di parola".

Sorta di "genocidio del pensiero e valutazione critica".

Il qui presente, serafico Tasselli se ne frega altamente del

"periodo aureo targato Led Zeppelin", onde invece "appoggiare"

il proprio critico ed inconvertibile, inattaccabile pensiero

su uno dei capitoli zeppeliniani meno discussi di sempre:

il progetto THE SONG REMAINS THE SAME, autentica summa

e perfetto concentrato dell'esuberanza tipica del gruppo inglese,

ma, anche, molto tristemente, il primo accertato punto di

non-ritorno, un non-ritorno indicante una musica Rock che non

sarebbe piu’ stata capace di fare marcia indietro per

ritornare sui propri passi, collassando impietosamente e favorendo

l'avvento dell’ iper-distruttivo ed iconoclasta fenomeno-PUNK

(e conseguente "morte" del rock'n'roll). A suo modo, il celebre

film THE SONG REMAINS THE SAME e' lo specchio di un

istituzione (il Rock, appunto) sempre piu' prossima alla decadenza,

rivoltata su se stessa, distorta in ogni maniera possibile, segrega-

ta all'interno della sua pregiata campana di vetro, una campana

sinonimo di assurde forme di arroganza, estrema pignoleria,

perfezionismo esasperato e pavoneggiamenti fino al limite della

sopportazione umana. Concettualmente, la pellicola vorrebbe

rappresentare i LED ZEPPELIN in forma-concerto, habitat

a loro congeniale e naturale, ribadendo a pubblico e critici

la loro immensa portata rivoluzionaria, onde legittimare, semmai

a quel punto ce ne fosse veramente il bisogno, la

propria, indiscussa, inattaccabile leadership musicale in tutto

il mondo. Anziche' riunire, semplicemente, una serie di eccitanti

filmati, rigorosamente fedeli alla carica "on-stage" del complesso

londinese, i LED ZEPPELIN optarono, sconsideratamente, per

una serie di trovate ad effetto, di stampo "sovra-cinematografico",

ognuna delle quali rappresentative dell'ideale filosofico dei

quattro protagonisti: Robert Plant che gioca a fare il vichingo,

sperduto nella foresta, con tanto di moglie e figli "nature",

Jimmy Page epicamente impegnato in qualita' di estremo scalatore

di insormontabili vette montane, John Bonham (indovinate un po'...?) incalli-

tissimo collezionista di macchine d'epoca, con tanto di corsa

spericolata, mentre John Paul Jones, il piu' romantico dei quattro,

ha il piacere di intercalarsi nella parte di un cavaliere roso dal desi-

derio di salvare la propria madamigella in pericolo, prigioniera del Male.

Le pretenziosita' divistiche ed assolutistiche dei quattro membri

del dirigibile non lascia spazio alla gioia visiva di uno spettatore

oramai nauseato da tanto, troppo auto-compiacimento,

una sequela interminabile di auto-celebrazioni, esasperata mitizzazione

del proprio io e del sentirsi con assoluta certezza padrone del mondo,

quasi i quattro intendessero rendere noto al pubblico un loro ipotetico

"raggiungimento metafisico", dove il lecito viene scavalcato dall'illecito,

e la razionalita' affoga nell'irrazionalita', in qualcosa di sempre

piu' irraggiungibile ed impalpabile, insopportabilmente irreale.

Il grado di umilta' di questi "gran signori dell'hard-rock" e' pari al

tonfo provocato da un peto scaricato

da un povero, "incontinente" vecchio trombone oramai prossimo

agli 80 anni. La linea che separa la loro modestia dall'egocentrismo

piu' spropositato e' equivalente alla distanza che intercorre tra il suolo

terrestre e linea piu' avanzata della stratosfera..... Non so

se ho reso l'idea…. In THE SONG REMAINS THE SAME, per

assurdo, non e' la musica ad essere padrona, inspodestabile

sovrana delle immagini, bensi' un aberrante, gretto quasi,

eccesso divistico, all'interno del quale si complementano alcune

trovate registiche di assai dubbio gusto, sorta di "neo-classici-

smo-psichedelico", ammesso che il termine possa rientrare nei

vostri gusti.

Francamente ad una prima visione il sottoscritto rimase interdetto,

confuso, infastidito, innervosito... avrei avuto voglia di estrarre

la videocassetta dal registratore e gettarla nel piu' vicino bidone

dell'immondizia. In quell’ occasione i LED ZEPPELIN si dimostra-

rono furbi mestieranti schifosamente ruffiani e dalla consi-

stenza e concretezza gravemente latenti; spettacolarmente,

cinematograficamente e musicalmente THE SONG REMAINS

THE SAME risulta essere un semi-fiasco. Sottolineo "semi"

perche' perlomeno meta' della pellicola e' "salvata", in extre-

mis, dal groove e pathos di azzeccate (ma non poi troppo)

versioni di WHOLE LOTTA LOVE e STAIRWAY TO HEAVEN,

i due mega-classici per eccellenza ed assoluti must-have per ogni

fan di rock che si rispetti. Da par suo, Page si dimostra lontano

anni-luce dal concetto di umilta', e ostenta marcatamente i propri

pavoneggiamenti chitarristici, al limite della corrosione pura, tanta e' la

logorrea musicale riversata dal chitarrista sul pubblico, in aggiunta,

of course!,  alle non secondarie dosi di innata superbia da parte degli altri

tre “compari”. Altrettanto discutibile la scelta delle sempre decantate,

osannate performances dal vivo, a meta' tra irrisorie, auto-parodisti-

che celebrazioni del mito LED ZEPPELIN e sconcertanti, vomitevoli,

incomprensibili "prolungamenti strumentali jammati" da parte soprat-

tutto di un comunque ispirato Page. Plant, nondimeno, pare sforzare oltre

il dovuto la sua inconfondibile ugola, alternando prove convincenti

ad altre decisamente meno ispirate. Ineccepibili, se buon memoria

non mente, lo stutus interpretativo di Bonham e Jones, sempre all’al-

tezza della situazione.

Propongo un quesito, tipico "tasselliano": ma non sarebbe stato

meglio incentrare il proprio carisma di marca zeppeliniana sulla

realizzazione di un documentario-rock stile-GIMME SHELTER

dei Rolling Stones?... (fra l’altro qui l’entourage degli Zeppelin

non avrebbero dovuto sopportare l’incombenza e la pesante

responsabilita’ di un omicidio tra la folla…)

Era davvero necessario auto-"commiserarsi", auto-compiacersi

pateticamente, cosi’ come i Led Zeppelin hanno palesemente di-

mostrato lungo tutto il corso di THE SONG REMAINS THE

SAME?... Valeva davvero la pena sovraccaricare di (finto, quanto

mai opaco e falso) entusiasmo un pubblico troppo

"sordo" e "cieco" per poter realmente comprendere la portata di una

truffa preparata, presumo io, a tavolino da nostri quattro "sacri"

del Dirigibile?....

Di sicuro, gli Zeppelin sono riusciti nell'intento di far passare

in secondo piano cio’ che avrebbe dovuto rappresentare il fulcro del

video/film, vale a dire il concerto tenuto al MADISON SQUARE

GARDEN di NEW YORK nel lontano 1973. Si avra',

come risultato finale, un film che non decolla mai, fastidiosamente

dispersivo e pasticciato, una "polpa" di situazioni inutili ed

ampollose, apparentemente senza capo ne' coda, quasi

rovesciate sull'ascoltatore/spettatore senza rispettare

un minimo senso logico, il tutto riflesso e riassunto in una dimostra-

zione di arroganza e totale mancanza di rispetto tipiche

di quelle rock-stars ultra-viziate e iper-miliardarie che

non hanno piu' niente da dire ma che si ostinano, maledetti loro,

a far suonare la stessa canzone all'infinito, senza alcuna intenzione

di alzarsi dalla poltrona onde alzare la puntina del disco

e far calare, con gran sollievo da parte di un pubblico spossato

e rintronato, il sipario.

Forse non si tratto’ di un caso che il titolo di quella infame pellicola

fu "LA CANZONE RIMANE SEMPRE LA STESSA".

Lo spettacolo, noiosissimo ed indigeribile, pure.

Ed il "Dirigibile" comincio', da allora, a volare sempre piu'

basso.

 

ALAN "J-K-68" TASSELLI

 

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