13-11-2002
MAN FULL OF YESTERDAYS
Intenso
tributo ad un grande vocalist mai troppo compianto e considerato
Nel
corso degli anni mi e' capitato assai spesso di imbattermi in complessi
per i quali ho provato un fortissimo sentimento di legame, in gran parte
dovuto alla mia sensibilita' musicale, sensibilita' che abilmente sembrava
amalgamarsi con i coloratissimi stati umorali espressi dai solchi delle
centinaia di LPs che possiedo a casa.
La mia si e' trattata indubbiamente di una escalation conoscitiva fortemente
alimentata da un sempre vivacissimo desiderio di sapere, sapere che cosa
quel gruppo o quell'artista, sia da un punto di vista musicale che sociologico
aveva rappresentato durante gli anni del suo incommensurabile
"operato". Ma e' altrettanto vero
che, senza alcun rimpianto o rimorso, alcuni di quei nomi sono stati "resettati"
dal mio "Sistema Operativo Cerebrale", e probabilmente non faranno mai
piu' ritorno. Fra le cosiddette "vittime illustri" non potrei non
citare
i DEEP PURPLE (amatissimi, in special modo nei primi anni di collezioni-
smo musicale) o gli EAGLES, piu' commercialmente predisposti all'AOR
americano, combo californiano che ha espresso alcune tra le pagine
melodiche piu' riuscite ed avvincenti degli anni '70.
In questa a suo modo "infausta" categoria non rientrano (e mai
rientre-
ranno) gli inossidabili URIAH HEEP, dei quali ho gia' tessuto sperticati
elogi, optando per VERY 'EAVY VERY 'UMBLE quale album tra i piu' rap-
presentativi del complesso inglese. Ma se in precedenza mi ero soffermato
sugli accenti gotici e surreali di cui gli HEEP si sono sempre dichiarati
portavoce, attraverso l'analisi critico-musicale del loro primo indimenti-
cabile "parto", oggi vorrei dedicare parte del mio tempo ad una figura
mai troppo compianta, mai troppo fatta riemergere dall'eterogeneo,
imprevedibile panorama rockistico: mi sto riferendo, senza tentennamento
alcuno, a DAVID BYRON, vocalist degli URIAH HEEP dal 1969 (anno in
cui Byron ed il suo compagno di scorribande negli SPICE Mick Box, chitarra
solista, si unirono al talentuoso tastierista Ken Hensley, proveniente dai
GODS). L'ormai leggendario triumvirato BOX-BYRON-HENSLEY vide cosi'
la luce; l'anno successivo sarebbe stata la volta della loro prima pubblica-
zione, VERY 'EAVY VERY 'UMBLE, appunto (VERTIGO).
Byron, nel contesto hard-rockistico dell'era, non si poteva certo considera-
re un "heavy-metal-singer" classico, ne' tantomeno un "progressive-voca-
list". La particolarita' legata alla sua voce veniva riflessa in maniera
piu' che
chiarificatoria attraverso le composizioni gotico-surreal-oniriche sulle quali
Byron dispiegava la sua innata possenza vocale. La vocalita' del prime-singer
degli Heep
non possedeva la "monumentalita'" di un Ian Gillan, ne' il pathos
sofferto
e strascicato di grandi "blues-rock-men" quali Paul Rodgers dei Free o
Rod Stewart dei Faces, ne' tantomeno la calda e glaciale, al tempo stesso,
espressivita' di Robert Plant, insuperato maestro nel gestire note acutisisme
ed impossibili da riprodurre per la stragrande maggioranza dei cantanti rock
sparsi in tutto il mondo. Performers, costoro, ben piu' considerati dai
media e giornalisti dell'epoca, relegando in innumerevoli occasioni il com-
pianto David negli angoli oscuri della misconoscenza o, ancor piu' triste
da accettare, vittima dell'indifferenza di una "rock-press" spietata e
ed eccessivamente frettolosa nell'emettere stelline e giudizi, quando
non propriamente ottusa od elastica quanto una bacchetta di legno.
Ad un primo ascolto, immediatamente risalta il "wide-range-vocals" del
vocalist degli Heep, una voce "multi-ottava", dotata di grande
estensione
ed
esternatrice di acuti strazianti, di stampo quasi "gillanesco".
Rispetto al noto
cantante dei Deep Purple MARK II, David Byron vantava forse una mag-
giore propensione timbrica, la quale non aveva alcunche' da invidiare
al suo ben piu' celebrato collega; non-di-meno vi era una certa fascino-
sita' nell'impostazione byroniana della voce, mirabilmente adatta a
ricoprire vasti ruoli interpretativi, passando con assoluta disinvoltura
dall'"high-pitched" piu' marziale ed epico, alla ballata svenevolmente
eterea e struggente, per poi ritornare su canoni "hard" puntellando
le proprie accesissime performances con sferzanti, bellicosi e sventra-
cristalli "primal-screams", tali da far rabbrividire anche il miglior
Ro-
bert Plant (mi perdonino gli arcigni fans del "Dirigibile", ma il mio
e' un atto dovuto...!).
La straordinarieta' espressiva di Byron emerge imperiosa e destabiliz-
zante nel primo "effort" a nome Heep, il leggendario VERY 'EAVY,
VERY 'UMBLE: GYPSY ne evidenzia la quintenssenzialita' vocale,
monumentale tanto quanto la partitura del brano, sorretto da un
minaccioso, monolitico riff suonato all'unisono da chitarra e tastiera:
in sintesi, il trionfo del "gothic-rock", un sentiero raramente
battuto
con tale efficacia e magnetismo sonoro. WALKING IN YOUR SHADOW
si rivela essere perfetto specchio dell'estrema possenza byroniana,
possenza che si alterna a magistrali cambi d'atmosfera insiti nel
brano, rievocanti un tono di minaccia e di crudezza solamente riscon-
trabili nelle prime, stupefacenti opere del gruppo inglese, mentre
la celeberrima COME AWAY MELINDA e' il personale trionfo
della versatilita' di Byron, una melodia sulla quale viene "posata"
con maestosa, regale eleganza, un'interpretazione sofferta e ricca
di drammaticismo, mai patetico, sempre giocato sul filo di un pianto
malinconico egregiamente "tradotto" dall'ugola di David. Ancora
oggi il sottoscritto prova lunghi, glaciali brividi sulla schiena,
brividi che si stagliano come solchi di un passato tutto da celebrare,
ma anche tutto da riscoprire. Ma la performance byroniana che
piu' di tutte preferisco e' indubbiamente quella esposta in
DREAMMARE, primo "melting pot" dark-gotico-onirico, compo-
sizione firmata dall'allora bassista Paul Newton, un piccolo
gioiello per quel che concerne il primo hard-rock britannico.
La voce del cantante qui si apre a vele spiegatissime, trascinando
con innegabile pathos e possenza di stretta derivazione metallica
un lungo incubo poi trasformatosi in sogno divenuto a sua volta
nuovamente incubo, in un terrificante contrasto di colori,
demoni e belve attentatrici, quasi fossimo ingoiati da un vortice
onirico musicale che ci viene vomitato addosso attraverso i dispe-
rati e talvolta "omicidi" acuti di un ispiratissimo, inarrivabile
Byron. Ma il capolavoro vocale del Nostro si compie nella croma-
tica, "up-and-down-tempo" di WAKE UP (SET YOUR SIGHTS),
un brano di chiara derivazione progressive, contraddistinto dalla
ritmica jazz inferta dalla chitarra di Box, assoluta padrona insieme all'e-
sasperata performance vocale di Byron: un "sali-e-scendi" dalla
grande carica emotiva, l'ideale "set-closer" di un'opera tutta
da divorare, opera che ha termine con un lancinante messaggio
da parte di Byron stesso "Svegliati e stai all'erta..... oooo,
Dio cerca di fermare questo eccidio....... - disse l'uomo prima
che morisse....." - seguono dolcissime, oniriche sussurra che
risolvono, ma solo in parte, tanto dramma profuso sino ad ora.
La voce si fa sempre piu' sottile, e tutto sfuma lasciando agli
avidi ascoltatori molti quesiti aperti, ed un'unica, inequivocabile
certezza: quella di aver assistito ad una delle piu' ricche e
versatili "rappresentazioni" vocali della Storia del Rock.
E la mia non vuole essere un'esagerazione od eccessiva
celebrazione dell'artista preso in considerazione.
Cio' espresso sino ad ora e' cio' che sento veramente dentro
di me, e non potevo davvero rinunciare alla mia personalissima
esposizione dei fatti. Al cuor... non si comanda!...
Passa un anno, siamo nel 1971 ed esce SALISBURY, seconda
opera da parte degli URIAH HEEP. Si avverte, immediatamente,
un netto, radicale cambio di atmosfera, pur rimanendo inalterate
le coordinate stilistiche del complesso inglese. BIRD OF PREY
e', a tutt'oggi, la "vocal-signature" di David Byron, un'interpre-
tazione mozzafiato giocata su vorticose acrobazie vocali
terminanti con un puntuale, acuminatissimo falsetto, rivelando
a piu' riprese quello stile che prendera' di li' a poco la
denominazione di "operatic-vocals" (vocalizzi operatici
o vocalizzi lirici): un nuovo stile vocale era appena stato
dato alla luce, e Byron ne fu l'impareggiabile autore.
BIRD OF PREY si puo' definire un' antesignana di certo
"epic-metal", in anticipo di ben una decade, prima dell'avvento
di complessi quali DIAMOND HEAD, IRON MAIDEN e
JUDAS PRIEST, nomi oggi sinonimo di grande firmamento
nel campo heavy-metal.
THE PARK e' forse la composizione in assoluto piu'
fascinosa e ricca di accentazioni onirico-eteree cosi'
care al gruppo di Birmingham: il falsetto di Byron
rappresenta la miglior trasposizione possibile onde
conferire quel tono cosi' caratteristicamente deca-
dente ed oscuro, magnetico e tenebroso. Segue
il classico TIME TO LIVE, traccia di sanguigno,
lancinante, sofferto hard-rock, nel quale David
pare si voglia cimentare in un ipotetico "verso" a Ian Gillan
(peraltro
il "gioco" gli riesce egregiamente),
suo contemporaneo e sempre indiscusso punto di riferimento.
Infine citerei la suite SALISBURY, la stessa che da'
titolo all'omonimo album: 16 minuti di concitato, avvincente,
drammatico caos musicale, al quale fa da puntello un sempre
impeccabile David Byron, in questa veste solo funzione di
mero complemento e comunque sempre di fondamentale
importanza nell'economia musicale e stilistica del combo
"diretto" da Ken Hensley.
Concludero' con l'imponente, massiccio LOOK AT
YOURSELF, uno dei capisaldi dell'hard-rock britannico,
autentico grido all'hard piu' estremo ma, al contempo,
anche sinonimo di acuta espressivita' da parte di
un complesso mai domo o titubante verso un'assidua,
coraggiosa ricerca sperimentale. Apre, of course,
la nota title-track, autentico inno hard del primo
periodo, con la chitarra di Box sparata a folle veloci-
ta', coadiuvata dal sempre abilissimo Hensley e
retta da un canto sgolato ed invocante disperato
aiuto. Si ha l'impressione il Nostro sia quasi in
punto di morte.... La conclusione a tanta epicita'
e' lasciata all'originalissimo, furente drumming degli
OSIBISA, in questa veste prestatisi alle pretenziosita'
e velleita' "heeppistiche". I WANNA BE FREE e’, “de rigoeur”, il
brano che inAssoluto prediligo in quello che da sempre e’ considerato come la
produzione in assoluto piu’ “heavy” in cui Il gruppo si sia mai imbattuto.
Intro fragoroso di chitarra, sul quale si staglia in successione una tenue ma
delicata linea di organo; subentra a questo punto la calda e decisa
voce di Byron, che disegna attraverso sognanti liriche un momento di estasi
personale, in cerca di una legittima liberta’. Ad esser del tutto sinceri I
WANNA BE FREE e’ quanto di piu’ quintessenziale si possa immaginare in campo
hard, e forse per tale motivo tale traccia e’ da considerarsi un “lost-Heep-classic”.
Il canto, prima, soave e contenuto, poi (si veda e… si …senta nel finale)
sfrenato e lancinante, del dottissimo vocalist inglese, e’ superbo ed il
rocker suddetto, fortemente venato di melodia in stile-Heep, si dimostra essere
il veicolo piu’ sicuro tramite il quale poter esprimere la propria innata
espressivita’ vocale. Sia che Ken che David si catapulteranno in un finale
“high-screaming” semplicemente mozzafiato: le folli grida di entrambi i
leaders si intersecano alla perfezione (confondendosi meravigliosamente),
complementando l’una e sovrapponendosi all’altra. “Heavy suggestion”,
e’ il mio laconico commento. Tralasciando la celebre JULY MORNING, da tutti
ritenuta la “Heep-track” per antonomasia, e loro indiscusso apice creativo,
la particolare timbrica di Byron ha modo di esprimersi piu’ compiutamente in
TEARS IN MY EYES, altro sommo highlight all'interno di LOOK AT YOURSELF. La
cadenza dettata dai riffs sanguigni di un sempre “minaccioso” Mick Box segue
parallelamente la vocalita’ epica e suggestiva di David Byron: dalla prime
battutesembra si tratti di un altro canonico, assai poco sorprendente “hard-rocker”,
in questo frangente imperniatosulla “slide-guitar” di un Ken Hensley lontano
questa volta dalla amata tastiera; del tutto inatteso, un sorprendente cambio di
atmosfera lascia esterrefatto pubblico ed ascoltatore: la maggior parte delle
bands allora in circolazione avrebbero proseguito sulla falsa riga
dell’introduzione, producendosi poi in uno stantio quanto monotono refrain che
nulla di sostanzialmente nuovo avrebbe aggiunto alle gia’ ricche articolazioni
espresse in campo hard-rock da alcuni tra i complessi piu’ famosi dei primi
anni ’70. Ma gli Uriah Heep non erano certo una band comune, ed invece di
presentare un fiacco rock-blues, decisero, molto intelligentemente, di porre una
“frattura” melodica di stampo squisitamente onirico-etereo, impostato sul
magico falsetto di Byron superbamente coadiuvato dall’altrettanto convincente
vocalismo degli altri membri del complesso (in fondo,
e' proprio
grazie alle intricate ed ammalianti armonie vocali sulle quali gli Uriah Heep hanno costruito il
proprio pregevole ed inconfondibile repertorio). D'improvviso il sontuoso,
accattivante break s'interrompe bruscamente: ad esso viene frapposto il refrain di
apertura, in
modo da causare una saggia "frattura" onde riprendere
la linea
originaria della melodia, a cui era venuta in contrasto proprio quell'inaspettato intermezzo.
Infine... il
Gran Finale: LOVE MACHINE. In essa vengono fuse non poche similarita' nei confronti di un sound
dichiaratamente "deep-purpliano": sia nell'impostazione vocale di David Byron
(emulo in questo frangente del grande Ian Gillan) che negli assoli proposti dagli
indiavolatissimi Box ed
Hensley, la matrice purpliana sembra essere la costante
nel corso di
tutta la traccia. Segno evidente che gli allora "maestri" si potevano gia' considerare
autentici inventori di
un nuovo, ultra-seminale "verbo-rock". Cosi' come
"inventore" meriterebbe di essere etichettato uno dei piu' grandi vocalists di sempre, quel David
Byron al
quale ho candidamente dedicato questa speciale retrospettiva, una
retrospettiva
dettata piu' dal cuore che dall’ennesima dimostrazione di profondo interesse
verso la
musica e le voci degli Uriah Heep. E come certi "propositori di nuova arte" al tempo della
loro messa in scena,
Byron si sarebbe dovuto accontentare del modesto ruolo di
"incompreso", comunque (e saggiamente, ma con una punta di tragica malinconia e lieve rancore) in
fervente attesa
che il suo immenso ed originalissimo talento venisse
un giorno, non
troppo lontano, riconosciuto, anche da coloro che per anni snobbarono la musica degli Uriah Heep.
Se mai quel
nefando essere di nome Melissa Mills avesse veramente compiuto il (meritatissimo) atto di
suicidio, le
auguro, infaustamente, di correre su e giu' per l'Inferno,
braccata
proprio da un Byron/Caronte eccitato solo dalla perversa idea di poterla speronare all'infinito con
la propria forca....
O, better to
say, con i suoi inconfondibili, sferzanti acuti....... fino a disintegrarla del tutto.....!
And justice for all, in the end, my friend!...
ALAN
"J-K-68" TASSELLI
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