15-09-2002
SYD
BARRETT ED IL PRINCIPIO DI FOLLIA LISERGICA
Elegia ad un diamante pazzo le cui schegge brillano ancora
Talvolta il genio ingrassa cosi'
avidamente la mente rendendola partecipe di uno sconsiderato, folle gesto la cui
unica giustificazione risiede in un apparentemente infinito, eclettico principio
di creativita' contraddistinta da un alternarsi di luce ed oscurita', Paradiso
ed Inferno, talvolta percorrendo sentieri ellittici dalla complessita'
pressoche' indecifrabile e sinonima di feroce imprevedibilita'.
La follia e' sempre stato una sorta di comandamento per l'angelico diamante
della neo-nata psichedelia britannica, Roger "SYD" Barrett, bizzarro
genialoide alchimista, arguto sperimentatore di intrugli sapientemente sospesi
fra reale ed irreale, surreale ed immaginifico. Un atto di impagabile amore fra
la sua destabilizzante, obliqua materia grigia e la Dea delle Droghe
psichedeliche in voga nei tardi anni '60: l'LSD.
Lo si puo' considerare un rapporto di amore e odio, diabolico spartiacque che
divise la gia' fragile, "friabile" personalita' di Syd in due
antitetiche parti; il "viaggio" da lui intrapreso lo avrebbe presto
condotto sino alle porte del Nulla, e dal Nulla egli venne inesorabilmente
risucchiato. Per sempre le sue "scomposizioni-ricomposizioni" del
suono distorto, figlio diretto della etica musicale-compositiva-onirica dei PINK
FLOYD-prima maniera, ci vennero portate via, come se un bambino spesso
capriccioso (e innegabilmente dotato di finissimo intelletto) ma dalla
ingombrante cervelloticita' venisse strappato alla madre, prima ancora di poter
maturare (e quindi crescere) onde poter esprimere il suo prodigioso, unico ed
inarrivabile potenziale.
La psichedelia nel 1967 era un "affare privato" per pochi, raffinati
intelletti; il messaggio acido-lisergico di Timothy Leary stava
"collezionando" sempre piu' avidi adepti, ma si trattava ancora di un
fenomeno, tuttavia in crescita, di portata limitata e votato a circoli
prettamente "underground". Spesso si tende all'abuso di questo
termine, essendo la maggior parte di noi ignari (del tutto) da dove questa
parola abbia avuto origine e, soprattutto, che cosa abbia significato agli
addetti dei lavori in quei nevrotici anni di rivoluzioni ed eroi destinati a
precoce auto-distruzione. THE PIPER AT THE GATES OF A DAWN fu fulgido sinonimo,
sintesi assoluta dell'underground musicale londinese; tutto, probabilmente, tale
movimento nacque da una cantina (o semplice cameretta dotata di pochi e rudi,
efficaci attrezzi) dove il Nostro amato, indimenticato Syd amava sperimentare
nuovi suoni ed innovative alchimie sulla sua chitarra elettrica, da lui
progettata e costruita. "Genesi di un genio", si potrebbe intitolare
l'epopea, breve ma intensa, "barrettiana" e dei suoi compari floydiani
per quel che concernono i primi inauditamente rivoluzionari, trascendentali
"rigurgiti" neo-psichedelici su vinile.
E' il 1964 e Barrett, folle visionario nonche' raro caso di "freak
ante-litteram", comincia a riunire, tassello per tassello, un coloratissimo
mosaico che lo portera' alla composizione di uno dei capolavori assoluti della
moderna psichedelia britannica, THE PIPER AT THE GATES OF A DAWN, opera
multiforme e di "rottura". Barrett e' il dominatore incontrastato,
allucinato despota musicale, anarchico fino all'autolesionismo sociale,
bizzarro, onirico, "lunare", futuristico; le digressioni
spazio-ancestrali di questa prima opera non hanno niente a che vedere con il pop
macchiato di soave, dorata lisergia del contemporaneo SGT. PEPPER dei Beatles
(uscito poco prima, nel Giugno del 1967): i testi sono figli diretti degli
incubi distorti e macabri della "spacey-mind" di Barrett; il suono
cupo, vagamente esoterico sembra annunciare l'inizio e, allo stesso tempo, la
fine di un sogno, quasi si trattasse di oscuri presagi che a quel tempo
probabilmente sono gia' noti alla coscienza del Nostro.
THE PIPER AT THE GATES OF A DAWN oscilla tra scquarci favolistici che rimembrano
spiragli di mondi fantastici tratti da "Alice nel paese delle
meraviglie" ed incubi le cui disconnessioni lasciano intendere il clima di
schizophrenia regnante inter-mentale di Barrett, alla quale nulla ed alcun
razionale rimedio sembra poter opporre, se non continue e massicce dosi del suo
piu' caro amico/nemico, l'acido che si mischiera' irrefrenabile nei meandri
labirintici della sua pregiata materia grigia, quell'acido dalla feroce,
ingovernabile "sete" da "succhia-cervello", esemplare "contraltare"
all'innato egocentrismo/auto-lesionismo del caro Syd, in procinto piu' che mai
di lasciare il mondo terreno onde abbracciare entita' parallele a lui piu'
congeniali e delle quali si e' sempre sentito a suo modo "discepolo".
La lunga, "diabolica" discesa verso gli Inferi fino ad allora "criptati"
dalla psiche drammaticamente sempre piu' traballante e vacillante, ha appena
avuto inizio, ma nessuno lo sa, o forse tutti sanno ma non intendono sapere.
L'inedita creativita' di Barrett e' resa irresistibile ed assoluta grazie alla
sua trasversalita'; le oblique intuizioni lisergiche del musicista inglese
costituiranno il manifesto psichedelico su cui si poggera' tutto l'underground
musicale britannico, un calvario di sensazioni, sospese tra lucida follia e
tagliente visionarieta', entita' estranea a quasi tutte le future soluzioni
musicali corredate da insulse, spropositate quanto lascive orchestrazioni,
incapaci di donare uno squarcio di identita' espressiva ad un prodotto voluto
egoisticamente da impostori ed impresari che si spacceranno naturalmente per
"inventori" (o, ancora piu' aberrante) per "innovatori".
Mai ricorrendo a questi fiacchi quanto pretenziosi trucchi solamente fini a se
stessi, Barrett compira' un miracolo di equilibrio
stilistico-musical-compositivo: coadiuvato dalla sua inseparabilie chitarra
amplificata, THE PIPER AT THE GATES OF A DAWN costituira' il trionfo di una
psichedelia genuina, senza artefatti o diabolici orpelli, diametralmente opposta
ai baroccheggiamenti ed insulsaggini da studio che impoveriranno (fino a
renderlo drammaticamente sterile) il mercato discografico britannico.
L'allucinazione e' il comune denominatore di quest'opera storica: la mente
malata e anti-convenzionale di Barrett si giostra abilmente tra circhi fatati
sospesi in un contesto storico non meglio precisato (e nemmeno ci interessa
francamente saperlo) e giardini dell'Eden dove il Nostro corre felice come un
bambino non ancora corrotto o contaminato dalle false promesse ed inganni del
mondo adulto.
I solchi appaiono sospesi tra spazio incantato e strade serrate pervase di
fascino oscuro e maledetto, un "assordante" (nei colori) caleidoscopio
dove fate e mostri di bibliche proporzioni sembrano poter miracolosamente
coesistere. Tracce-manifesto quali "Astronomy Dominee'", "Lucifer
Sam" e (in particolare) "Interstellar Overdrive" celebrano lo
"spacerock" piu' debordante, paradigmi barrettiani in cui vengono
genialmente mescolate esperienze senza fine mostruosamente dilatate dagli
allucinogeni "allarga-coscienze" di cui il Nostro abusava in
terrificante eccesso.
THE PIPE AT THE GATES OF A DAWN equivale ad un acido risveglio in seguito a
sonni non propriamente tranquilli, all'interno dei quali Barrett appare sempre
piu' abbandonato a se stesso ed al suo destino di irrinunciabile, inconvertibile
follia; un "dormi-veglia" in cui Syd affonda piacevolmente, esce e
rientra dalla porta della percezione lisergica ad libitum. Ancora pochi attimi
di lucidita' poi un lungo fascio oscuro, qualche timido risveglio accompagnato
da cognizioni legate alla realta' e poi di nuovo sonno, un sonno profondo e
distorto, macchiato, indelebilmente inquinato dalla Dea Lsd e compari. La mente
del grande alchimista e' oramai in pasto alle droghe che prima lo avevano
aiutato a staccarsi dalla convenzionalita' dei comuni mortali ma che adesso lo
stanno trascinando in un pianeta sconosciuto, che non sara' piu' in grado di
lasciare: la pazzia si e' presa gioco di Syd, e Syd da quel momento "vendera'"
la sua mente ad una esistenza fatta di normalita', reclusione infinita, pittura
ed aura di monumentale misticismo e senso di leggenda che avvolgera', "inghiottira'",
per l'eternita', l'anima da bambino inquieto ed evoluto, "fotografia",
questa, della complessita' labirintica a cui faceva capo, mirabilmente, la sua
fertile, incontrollabile e tribolatissima mente.
Ancora qualche sprazzo di genialita' inventiva mischiata ad un caos di
irripetibili vicissitudini, raccapriccianti visioni, nichilismo cerebrale e
saturazione dell'ego, un ego in perenne bilico tra un cielo dalla magnetica
bellezza costellato di luminosita' accecante, ed un dirupo acida, sferzante
metafora dell' imminente ingresso di Syd Barrett nel Grande Dimenticatoio della
musica popolare del Ventesimo Secolo. Il Nostro avrebbe semplicemente dato avvio
al suo nuovo, personalissimo "viaggio", verso una realta' parallela in
cui non esistono specchi, finestre, soffitto, strumenti o chittarre amplificate;
solo un uomo che non sa di essere tale, ingrassato, con davanti al suo viso
bucato dagli eccessi del passato, una tela pacificamente, avidamente dipinta
dalla sua coscienza-fantasma, impadronitasi della sua bistrattata, frantumata
psiche. Syd Barrett si sarebbe trovato semplicemente a doversi, perpetuamente ed
ossessionatamente chiedere quale fosse in realta' la sua precisa identita', l'identita'
di un uomo per sempre avvolto da tetro mistero ed incomprensibli, astrusi enigmi
mai compiutamente risolti (e che non troveranno mai soluzione....!).
Un uomo che non sarebbe piu' stato capace di ritrovare se stesso e la sua dolce,
dorata, inattaccabile armonia. Mai piu'.
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