22-08-2002
C'e' stato un tempo, lontano e terribilmente sfuggente, in cui le stars hollywoo- diane erano venerate e "santificate" quanto gli antichi Egizi ed i loro faraoni mummificati. Su di loro veniva eretta una barriera di insormontabile misticismo, idealmente supportata da un fortissimo, penetrante senso di mitizzazione estrema; erano stars sullo schermo come nella vita, e spesso non ci si sorprendeva se la seconda si sovrapponeva alla prima o viceversa: si trattava inconfutabilmente di "extra- terrestri" mandati da Dio in persona aventi una vocazione unica ed inconciliabile con il mondo terreno, dal quale, ogni volta lo desiderassero, potevano usufruire di una particolarissima ubiquita' onde "staccarsi" onnipotentemente dal suolo, verso un imperioso quanto liberatorio, metafisico "volo". Durante i primi 50 anni di vita, lo star-system hollywoodiano era una specie di Olimpo popolato dai suoi Dei, coccolatissimi, viziatissimi, adoratissimi; esseri INumani, intoccabili nella loro Divinita' Solenne ed inattaccabile, autentiche "sfingi cinematografiche", sulle quali si reggeva l'indistruttibile Mito del Cinema Americano. Il pathos, la sofferenza, il drammatico, struggente pianto che i "mostri sacri" hollywoodiani riversavano su di un commosso spettatore sono, oggi, imparagonabili con il presunto livello recitavito del cinema attuale. Dominava, in quell'epoca "oscura" e di estremo fascino, un destabilizzante, quanto morboso desiderio di "palpabilita'" da parte del "mortale", verso i propri eroi e leggende del grande schermo, una palpabilita' tanto piu' forte ed improponibile, in termini di "reale contatto fisico", quanto era fitta ed avvolgente la cortina di aureo misticismo che avvolgeva, quasi fossero entita' ectoplasmatiche dotate di poteri soprannaturali, le antiche stelle del firmamento americano. Il dominio degli Studios si manifestava implacabilmente sul destino e sulle relative scelte professionali dei loro beniamini, fino a condizionarne (in alcuni casi, anche gravemente) sia la vita artistica che quella umana e "quotidiana". Se di "quotidianita'" e' lecito supporre... Non vi era apparentemente nulla che i vari Clark Gable, Humphrey Bogart, Charles Laughton, Greta Garbo o Gloria Swanson, per citare alcuni dei "leading-actors" di quel tempo, non sarebbero stati capaci di realizzare: qualsiasi cosa, persona od oggetto sembrava essere sotto il loro volere e potere: Dei e Dee incontrastati, Veneri e Mephisto idealmente mischiati l'uno all'altra, onde auto-condursi in un rapporto scabroso e torbido sepolto in un'epoca dove il mistero ed una infinita angoscia individuale si rivelavano infallibili "metronomi" di un' esistenza votata all'eterna follia e sadica perversione. Forme di istrionismo senza tempo e senza spazio, animali sovrannaturali del pensiero, in grado di ammaliare e catturare l'occhio e l'anima sprovveduta del comune mortale. Per poi, quando venne dichiarato "momentum", scannarsi fra di loro, come belve assetate di sangue; e l'attimo successivo avrebbero invocato, forse per opera di un Ordine Supremo non meglio identi- ficato, il sacrificio supremo, in nome della Settima Arte, per cui erano vissuti, e per cui, ora, dopo centinaia di plastici sorrisi e di roventi, passionali lacrime, dovranno morire. In definitiva la parabola "ascendente-discendente-maledetta" di quelle icone senza tempo venne mirabilmente riassunta, "trasposta" in un celebre classico hollywoodiano, VIALE DEL TRAMONTO: macabro, ossessivo, ripugnante, "nero" e maledetto allo stesso tempo, in bilico tra vampate di antica gloria riesumate e poi "annegate" da una immortale, indimenti- cabile Gloria Swanson; una "noiristica", eterea ed irreale interpretazione di un processo auto-distruttivo quanto apocalittico, il cui culmine, una Morte Annunciata e liberatoria, altro non e' che l'essenza del Grande Cinema di Hollywood. Vita, miracoli, mirabilie, ascesa in Paradiso e repentina discesa all'Inferno, auto-flagellazione... omicidio, folle pentimento, nevrosi, isterismi e nevrotismi; ultimo atto del Melodramma: un suicidio plateale, epico, ragge- lante: il Cinema muore insieme alle sue stars, pronto il giorno dopo a rinascere, sotto forma di finzione, naturalmente, sebbene non si sia mai capito quale in realta' fosse la linea di demarcazione tra fantasia e realta', recitazione e normalita', follia e comprensione, gloria ed autodistruzione; Vita e Morte. Il Cinema e' tutto questo oppure nulla di tutto cio'. E' apparenza e fisicita', realizzazione ed annullamento, convinzione e suggestione, dubbio e verita', in un vorticoso gioco tra antitetiche parti; in mezzo, gli attori, in vesti di medium organizzatori e divulgatori di un caos emotivo sensazionalistico che solo tramite il mondo in celluloide poteva trovare massimo e folgorante compimento. Questa era HOLLYWOOD, "figlia" di un tempo dimenticato e remoto, oscurato dalle faziosita' del presente, da un'eccessiva quotidianita', esasperante e provocatrice di debordante noia. Un Cinema, quello di oggi, senza una faccia, senza immagine, senza, soprattutto, quei favolosi, intramontabili ed "impalpabili" "leading-actors" che hanno reso la Settima Arte una MONUMENTALE, ricchissima e "occulta" Arte. Un'arte assolutamente non riproducibile e rappresentabile nella vita reale.
ALAN "J-K-68" TASSELLI
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