07-08-2002

 

 

 

"BULLITT",  IL POLIZIESCO ANTI-AMERICANO PER ANTONOMASIA

 

Solitamente i polizieschi americani sono riconosciuti a livello mondiale per le gravose porzioni di grossonalita' e di "inverosimilita' cinematografica" di cui si fanno portavoce. Il popolo statunitense non riesce ad andare oltre un concepimento di giustizia e difesa del cittadino se non con massicce e spropositate dosi di violenza, spesso pacchiana e pervasa di toni "fumettistici". Questi prodotti non offrono quella sincerita' che il pubblico gradirebbe, di tanto in tanto, scorgere in qualche onesta produzione, che non abbia come unico scopo quello di "vomitare" sullo spettatore di turno, ingenti quantita' di effettacci speciali e dialoghi al limite della pacchianeria piu' debordante ed indigeribile. Una felicissima eccezione e' rappresentata da un police-movie girato nel '68 e considerato tra i piu' "tetri" e glaciali mai prodotti, autentico sinonimo di "cruda realta'", nella quale i nostri eroi si muovono talvolta in condizioni di precarieta' e di tensione raramente riscontrabili in altre opere cinematografiche del genere poliziesco. Mi riferisco naturalmente a quel piccolo capolavoro di intensita', tensione, concisivita' e realismo che e' BULLITT. Diretto nel 1968 da Peter Yates, il film si avvale della straordinaria performance di uno degli attori-simbolo di quel decennio: il grande e mai dimenticato STEVE McQUEEN, in questo frangente al suo apice interpretativo. La caratteristica peculiare che distingue questo poliziesco da tutti gli altri e' rappresentata dall'estrema, quasi disarmante semplicita' e "glacialita'" con cui vengono narrati i fatti: in definitiva, si trattera' del trionfo del realismo sul potere del Cinema, e le atmosfere plumbee, serrate e "piacevolmente" crude della pellicola legittimano i concetti sopra-esposti. L'interpretazione del grande attore americano (scomparso il 7 Novembre 1980, ucciso dal mesothelioma) e' quanto di piu' perfettamente incastrabile all'interno del meccanismo spietato e "tirato" di BULLITT. La regia, cosi' come gli altri interpreti, non eccedono mai in stravolgenti istrionismi, non cercano mai di stupire con effetti recitativi d'accatto lo spettatore, ma bensi' si fanno "complici", ma con garbo e pathos assoluti, dell'atmosfera di "splendida" tensione dalla quale la pellicola e' magneticamente avvolta. E migliore scelta per il ruolo di attore protagonista non poteva venire effettuata: McQueen si rivela perfetto nell'assecondare i tesi ingranaggi del film, e lui stesso si riconferma maestro in quella disciplina recitativa che e' nota con la definizione di "under-playing", ovvero uno stile di recitazione che si puo' tranquillamente definire 'ideale antitesi del metodo Stanislawsky insegnato nei celeberrimi ACTOR'S STUDIO, metodo che assicura all'attore la pressoche' TOTALE immedesimazione nel personaggio che deve interpretare. Un po' tutto BULLITT e' caratterizzato mirabilmente dall'under-playing, non solo presente nella performance di McQueen. Le scene registiche si muovono compatte, recise da un'ansia che cresce sempre maggiormente e comporta allo spettatore uno stato di "eccitazione visiva", quanto di spasmodica attesa verso gli eventuali sviluppi contenuti in una trama losca e lontana anni-luce dalle pretenziosita' narcistico-divistiche di altri capisaldi del genere (prendo come comune denominatore il pur piacevolissimo e leggendario ISPETTORE CALLAGHAN, IL CASO SKORPIO E' TUO) e sempre in bilico tra serratissime sparatorie e clima di "cupore" ed estrema serieta' professionale. La spettacolarita' e' sacrificata in favore dell'ansia e di un piu' che mai tagliente status di "anti-eroe". Una anomalia presente in BULLITT e' rappresentata dalla famosa scena d'inseguimento, ora piu' che mai ritenuta la "Madre" di tutti i "car-chases" avvenuti nella Storia del Cinema Poliziesco. "Annunciato" dalla tesa, imponente colonna sonora di LALO SCHIFRIN, ha inizio il piu' famoso inseguimento automobilistico della Storia, e, caratteristica non da sottovalutare, nel momento della rovente accelerazione ad opera di un tesissimo Steve McQueen, la musica abbandona d'improvviso il suo protagonismo per lasciar spazio ad un'ALTRA "colonna sonora", i rombo di motore e le nevrotiche sterzate delle due automobili in fuga, costituiranno l'elemento funzionale di questa scena sovrastata da un'acuta, verosimile drammaticita'; sbandamenti e sparatorie fra i due contendenti faranno il resto, e completeranno la personale orchestra di "suoni naturali", gettando lo spettatore in un clima di "ordinaria" violenza urbana convincente quanto sempre piu' sinonimo di "veridicita'". Lo schermo sembra allontanarsi sempre piu' e le macchine danno quasi l'impressione di mischiarsi in mezzo alla folla spettatrice coinvolgendola nei drammi e nelle nevrosi dei protagonisti. Risultato: godremo dei 10 minuti fra i piu' emozionanti, tirati ed "interminabili" di tutta la Storia della Settima Arte. Da notare come proprio questo quarto d'ora scarso rappresenti l'unica traccia di "americanita'", presente in BULLITT: una scena mozzafiato, ricca di capovolgimenti e di drammatiche speranze per il nostro eroe inseguitore, il quale, grazie ad un viso in perfetta armonia con il pathos della scena, ci travolge con la sua ansieta', quasi mettendo noi stessi in bilico tra la vita e la morte.... La scena centrale di BULLITT e' un esempio da manuale di "complementarieta'" cinematografica: il roboante, monumentale ed assordante rumore dei motori strizzati fino al limite consentito compensano perfettamente le atmosfere dimesse e realiste del resto della pellicola, convincendo pienamente lo spettatore della realta' dell'evento, in fedele rispetto dell'attualita' dei temi trattati in BULLITT: protezione di testimoni "caldi", truffa ai danni dell'Organizzazione, conseguente intricato e cervellotico caso da risolvere, corruzione, TANTA corruzione, tutte sfaccettature della nostra acida, distorta realta' colma di misfatti, e con un omicidio sempre pronto ad essere sferrato dietro l'angolo. BULLITT e' e rimane, sebbene a 32 anni di distanza, una pellicola di grande attualita' e, a suo modo, shockante sia nei contenuti fermamente ancorati alla realta' che al "disegno" interpretativo riversato sui personaggi da parte degli attori, primo fra tutti un entusiasmante ma allo stesso tempo contenutissimo, "REALE" Steve McQueen. Mai, come nel caso di BULLITT, la finzione cinematografica si era cosi' alchemicamente sovrapposta poi fusa in una confusa, nevrotica realta', e viceversa, rendendo tale opera una delle piu' significative e moderne del Cinema contemporaneo. E mai un attore come Steve McQueen ha piu' ripetuto una tale impresa di agghiacciante cinismo e acido confronto con la realta', una realta' da accettare a tutti i costi; BULLITT, infine, e' un'inedita, insuperata sintesi di forte, implicita ed apparentemente incurabile disillusione verso il Sistema, un Sistema che, invece di essere intento a proteggerci... ci coglie, vigliaccamente ed ignobilmente alle spalle..... improvvisamente... per poi... lanciarci inesorabilmente nel vuoto...

 

ALAN "J-K-68" TASSELLI

 

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