26-07-2003
ODE A JANIS JOPLIN
LA GRANDE STRASCICATRICE DEL BLUES
Un battito di cassa ossessivo ed incalzante, minaccioso,
preannunciante il dramma di un' urgenza che non attende che un facile consumo,
una droga da succhiare, una dose, forse L'ULTIMA, letale, rivelatrice di estrema
angoscia e di un mai celato dolore alle viscere di un sistema nervoso in perenne
tracollo, esitante di fronte ad un incombente, invitante dirupo, sul quale si
affacciano stecchiti lasciti ed urla strazianti...
Una voce dall'insolente dramma, enfasi di un'esistenza stentorea ed in bilico
tra la vita ed i prossimi cancelli dell'Inferno, pronti ad accogliere la sua
anima in pena, anima che brucia, che arde istante dopo istante, attimi
lunghissimi, eterni nel loro strascicarsi su quelle corde vocali sanguinanti, un
sangue caldo, avvolgente, capace di scorticare le orecchie, dedita a piangere
impossibili amori, ed una vita destinata a spegnersi come una candela che
velocemente esaurisce la sua cera.
Sensazioni impossibili da decifrare anche attraverso l'ego piu' smisurato e
abominevolmente sensibile, quando viene affrontato l'argomento ma, soprattutto,
la voce di JANIS JOPLIN; l'espressionista musicale di turno (in questo frangente
io) non puo' che lasciarsi travolgere dal turbinio passionale deliberatamente
"vomitato", in tutta la sua essenza animalesca, da quella che viene
(tutt'ora) considerata la piu' grande vocalist, interprete e personalizzatrice
di Blues Bianco della Storia.
Diviene assai arduo comporre classifiche e stillare giudizi quando il critico e
pensatore dell'ultimo momento "osa" discutere di una leggenda musicale
per antonomasia, essa stessa sinonimo di tragico ballo rituale, dissoluzione ed
esistenza gettata in un fiume di martirizzazione e naturali istinti alla piu'
inimmaginabile depravazione. JANIS JOPLIN ha rappresentato l'ideale, simbolica
sintesi della martire che non conosce che un'unico, inevitabile sentiero, una
repentina discesa verso l'autodistruzione, intesa come Madre Liberatrice,
esorcizzatrice di un immenso, incalcolabile, insostenibile dolore.
Janis fu una interprete in grado, come pochi altri Dei del Rock sacrificati in
nome dell'eternita' e susseguente immortalita' (Jimi Hendrix, Jim Morrison,
Brian Jones), di identificarsi nella raffigurazione di quella Dea Oscura che
risponde al nome di "Morte", sposando divinamente la sua scorticata,
distorta, inarrivabile gamma vocale con le tenebre piu' prossime a venire, e
pedissequamente in agguato. Mentre Hendrix e Morrison erano gia' da tempo
consapevoli della strada senza piu' ritorno intrapresa, per la Joplin tutto
aveva il sapore di quell'ultimo sussulto regalatoci prima di morire, quel
freddo, catartico 4 Ottobre 1970, quando fu trovata morta per overdose in una
stanza d'albergo ad Hollywood: un decesso che ricorda per molti versi quello di
un'altra grande diva del XX° Secolo, Norma Jean Baker, al secolo MARYLYN MONROE.
Certo, contesti diversi, ma il sapore di leggenda tendeva ad insinuarsi precoce,
cominciando a fluttuare, come quasi impercettibile ma terribilmente ficcante
presagio, gia' ancor prima che le due Dive spirassero in 'si' tragiche
circostanze. Un sussulto, sinonimo di "ultimo treno", quel treno per
la felicita' e la "normalita'" sul quale Janis Joplin non e' mai
riuscita a salire. Se Jim Morrison era morbosamente affascinato dalla Morte in
quanto nuovo punto di partenza (e non stadio finale), in grado di acquistare un
suo personale significato e capace di donare allo spirito nuova linfa vitale, e
Jimi Hendrix si dimostrava del tutto conscio di doversi prestare, prima o poi,
dinanzi ad una fine prematura ("Moriro' fra 5 anni", dichiaro' nel
1965), e non poi cosi' sconvolgente od inaspettata, per Janis vi era sempre un
lumicino interiore, impossibile da decifrare per i suoi ammiratori e produttori,
musicisti e compagni, una tenue, ma limpida luce sfuggente, la quale fungeva da
grande illusione, l'illusione di poter passare una vita migliore, un'esistenza
fondata sull'amore reciproco, quell'amore, sincero e terribilmente coinvolgente,
che in vita non ebbe mai. Fu lei stessa autrice, con solenne struggenza e fatale
rassegnazione, di una frase rimasta celeberrima, una di quelle "quotes"
("citazioni") che solo i Grandi possono rilasciare: "Quando canto
faccio l'amore con 50.000 persone, ma appena torno a casa mi ritrovo ad essere
completamente sola". C'e' chi dice che il suo piu' grande desiderio sarebbe
stato quello di fare la casalinga tutta torte e fornelli... E invece, pur nella
sua brevissima ma altrettanto folgorante carriera, le sue note peccaminose,
"devianti", divinamente lussureggianti profuse dal suo inconfondibile,
glaciale e rovente al tempo stesso timbro, avrebbero tracciato un solco di
caduta libera ed infinita disperazione: Janis non cantava solo per il suo
pubblico: lei cantava, emetteva rigurgiti, sospirava passionevolmente, piangeva
su quelle note cosi' meravigliosamente strascicate, quasi abbandonate al loro
destino..... e faceva tutto cio' soprattutto per se stessa, come antidoto alla
sua gelida, raccappricciante solitudine, che l'avrebbe condotta di li' a pochi
mesi, verso il tenebroso baratro, decretando la sepoltura di quel piccolo, unico
lumicino che le era rimasto ficcato dentro il cuore, nel profondo della sua
anima, quel fiocco di luce che si sarebbe portata per sempre dietro, senza che
in vita potesse mai risaltare dal suo corpo.
Ma era la VOCE il suo corpo, il suo sangue, la sua carne. Il suo amore.
Quell'amore a lungo invocato e superbamente seviziato, stuprato, preteso,
violentato. Ora per sempre strascicato.
Odo ancora, da una remota nuvola in cielo, quel canto sregolato, spudoratamente
sgolato, mentre scorgo un fisico sgraziato, grassoccio, paradossalmente colmo di
tenerezza, opprimente nel suo annunciare l'immenso, infinito vuoto accompagnato
dalla Dea Solitudine; scorgo in mezzo alla fitta nebbia del primo mattino, una
versione sussuratissima, straziante, sensibilmente scorticata di SUMMERTIME...........
ed il Cielo' si apri' nuovamente, a rendere omaggio alla "Piu' Grande
Strascicatrice di Blues del XX° Secolo".
ALAN
J-K-68 TASSELLI (LUCA COMANDUCCI)
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