13-07-2002
ALCUNE
CALIBRATE ANNOTAZIONI SU ‘DUEL’
Il primo Spielberg non si
dimentica. Mai!
Sono appena "uscito" dalla
visione del primo, storico lungometraggio
di Steven Spielberg, "DUEL", e
devo ammettere in tutta franchezza
di come sia sbalorditivo, SPODESTANTE il
fatto di aver assistito
ad un film (sua prima ufficiale regia)
cosi' "sfacciatamente" lontano
anni-luce dalle "manie" da
super-produzioni che hanno contraddistinto
in maniera netta ed inequivocabile la
carriera del grande regista americano.
Con ogni probabilita', gli ignari
spettatori dell'ultima ora, coloro
cioe' che hanno assistito ai grandi
Kolossal prodotti e diretti da
Spielberg, stenteranno a riconoscere, in
questa leggendaria pellicola,
lo stile del futuro "padrone di
Hollywood”.
Pochi infatti avrebbero pensato, dopo
essersi “ingrassati” gli occhi
di strabilianti, avanguardisti effetti
speciali post-STAR WARS,
ad una prima opera basata su di un autentico incubo paranoico
in perfetto "AI CONFINE DELLA
REALTA'-fashion", drammatica-
mente claustrofobico ed invadente, pur
trattandosi, basilarmente,
di un "on the road", sebbene
particolarissimo e vantante un suo
personale appeal e fascino. Un fascino
implicitamente "macabro",
ossessivo nel tratteggiare le paranoie di
un Dennis Weaver (il
protagonista braccato dal
"camion-fantasma") sempre in bilico
tra pazzia, stati di calma apparenti e
nuove schegge di terrore,
puntualmente succedute da schizzi di
isterismo e nevrosi da
"uomo perduto", o per lo meno
in prossimita' di una fine devastante.
L'abilita' di Spielberg risiede
essenzialmente nell'intenzione
di voler "catturare" l'occhio
(e lo spirito) dello spettatore,
cercando di farlo immedesimare nelle
angosce e nelle gravi
insicurezze del protagonista.
DUEL vanta un "feel" ed un
"pathos" unici; non si tratta di
un "road movie" classico dove i
principali attori interpretano
una gang di sballati/fuori-di-testa/perversi,
dediti ad ubria-
cautre colossali ed a risse infinite, ma
la "strada", in questo
contesto, viene usata da pretesto per
costruirvi una storia
di "ordinaria follia", prossima
ai "confini della realta'".
Si avverte, nel proseguio della
pellicola, un certo gusto verso
un sadismo opprimente quanto
"maledetto"; intelligentemente,
onde conferire al film un alone di
"dannato mistero" e/o
"sindrome di irrisolutezza",
Spielberg non rivelera' mai allo
spettatore il volto
dell'"autista-killer". D'altronde e' proprio
questo semplicissimo, apparentemente
banale, ingrediente
a far pendere, sul protagonista quanto su
di noi, un insolente,
fastidioso "senso di perseguitazione",
provocandoci quesiti
ed interrogativi che forse non troveranno
mai risposte.
Non a caso, il "duello" fra il
venditore californiano e l'au-
tista senza volto si concludera' in un
apocalittico scontro
finale, che ricorda moltissimo, sia da un
punto di vista tecnico-
registico che nella balistica, il
roboante, drammatico
epilogo de "LO SQUALO": da
notare come la sequenza
del tremendo urto tra la macchina ed il
camion-assassino
sia strettissimamente correlata
all’ALTRO "urto": sissignori,
mi sto riferendo all'epico
"faccia-a-faccia" tra ROY SCHEIDER
e il temibilissimo SQUALO nell'omonimo
capolavoro diretto
da SPIELBERG nel 1975).
Cio' che realmente appassiona in DUEL e'
la disarmante sempli-
cita' con cui l'incubo paranoico di uno
schizzato, ultra-nevrotico
Dennis Weaver venga proposto agli
spettatori: Spielberg con
questo lungometraggio (inizialmente
prodotto per la televisione)
dimostra a future generazioni di epici,
magari eccessivi quanto
ruffiani "road movie" di come
sia stato sufficiente coinvolgere un tir di
vasta portata, una macchina ed un uomo in
fuga per tratteggiare
una convincente ed assai originale
“storia dell’incredibile”; ed
altrettanto abile il grande cineasta e’
stato nella scelta, perfetta
stilisticamente parlando, del paesaggio
che avrebbe “accompagnato”
i due “contendenti” dall’inzio alla
fine del film: il vastissimo, intermin-
nabile (di conseguenza interpretabile
come la stessa “interminabilita’”
dell’incubo) deserto californiano, per
l’occasione spettrale
teatro, spietato specchio, ideale per
riflettere i tormenti, le fughe
e le nevrosi dell'inseguito/perseguitato.
Un ammirevole
saggio di bravura nell'insegnare ad
appassionati di cinema
e futuri cineasti di come, spesso e
volentieri, la semplicita'
di una regia sia perfettamente,
SPLENDIDAMENTE comple-
mentare ad una trama secca e scarna, ma
allo stesso tempo,
"colma" di suspense ed
incertezze, di orrori e di incubi,
di momenti di calma susseguiti poi da
terremotanti stravol-
gimenti. Un originale esempio di
allenamento alla nostra psiche.
E naturalmente un ottimo esempio di
cinema artigianale
a basso prezzo ma dall'alta qualita'
artistica.
A mio candido parere, il grande cineasta
americano do-
vrebbe ritornare, e prepotentemente, a
quel 1971, onde
cercare di recuperare quel "feel",
quella distintiva
atmosfera che hanno reso DUEL un piccolo,
nascosto
capolavoro del popolarissimo regista.
Il Cinema ne guadagnerebbe.
Quello VERO.
Dipenderebbe solo dalla volonta’ di
Spielberg, inteso che egli
abbia veramente intenzione di fare un
“sano” Passo all’indietro,
implicita una potenziale umilta’ da
recuperare, che dimostrerebbe,
in particolare ai piu’ giovani, di come
il Cinema possa tranquilla-
mente rinunciare ai devastanti, spesso
insopportabili, indigeribili
effetti speciali, che di speciale non
hanno poi’ granche’, favorendo
in tal modo una maggiore e piu’
fruttuosa ricerca ideologica-spiri-
tuale al fine di riportare la Settima
Arte al suo antico splendore
ed ai suoi mai del tutto dimenticati
fasti.
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