15-08-2005

 

 

DECOMPOSIZIONE

 

Metamorfosi di un giorno rigorosamente ordinario

 

 

Un pomeriggio come tanti altri. Rigorosamente ordinario. Cammino lungo uno stretto tracciato di campagna, incrociando misconosciuti volti, piacevolmente travolto da ondate di odori multiformi. Sono in piena salute; dimostro un passo incalzante, assai promettente. Si prospetta, salvo imprevisti, una lunga, memorabile falcata verso una meta ancora da designare.

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...d'un tratto sento il bisogno di fermarmi: non ho più fiato, i polmoni sembrano atrofizzati, le ossa cominciano a stridermi, gli occhi sono roventi, la tonsille quasi corrose dal bruciore; avverto la pelle contrarsi sempre più, il naso comincia a sanguinare, la vista diminuisce, uno stato di crescente ansia si è fulmineamente impadronito del mio, fino a pochi secondi prima, apparentemente equilibratissimo ego. Sembra l'effetto di un orribile incubo prodotto da chissà quali sostanze allucinogene, ed invece è tutto vero. Faccio cadere gli occhi sulla mia mano sinistra e ciò che vedo è decisamente straziante: non ho quasi più pelle, e strati di carne appiccicosa trapassano una vista sempre più flebile: sono sull'orlo di un inevitabile svenimento. I denti, con cadenza sempre più elevata, cadono uno dopo l’altro; sulla schiena iniziano ad apparire strani rigonfiamenti, non dissimili da squame di rettile, mentre le gambe divengono un ammasso di peli grigiastri. L'asfalto sembra cambiare colore, non sento più stabilità al di sotto dei miei piedi. Tutto, attorno a me, si sta decomponendo: gli alberi prima rigogliosi e svettanti in cielo, ora non sono che un pugno di rami secchi dall'equilibrio stentoreo; i fiori sono polvere e le case in pietra un cumulo di cenere; i passanti, quei pochi incontrati lungo il breve tragitto compiuto, sono divenuti scheletri. Il cielo ha da poco assunto un bizzarro, straniante, grandguignolesco colore rossastro, intervallato da opachi cromatismi e spruzzate di verdastro qua e là: ha le stesse sembianze di uno squarcio da ferita rigogliante di sangue misto a pus. L'asfalto non è che divenuto qualcosa che nemmeno io sono in grado di descrivere... molliccio, ondulato, fumante, emanante esalazioni di cadaveri in avanzato stato di decomposizione. In fondo al tracciato, emergono, affamate e minacciose, gigantesche vedove nere, che a morsi divorano gli unici sprazzi di cielo azzurro rimasti... ora il paesaggio al di sopra dei miei quasi ciechi occhi si è trasformato in un'enorme sbucciatura colante sangue bollente... Mani di vecchie streghe dalla pelle secca e rarefatta spuntano da alti cespugli, sovrapponendosi al cinico, gelido vento che ha da poco cominciato a soffiare sempre più insolentemente... L'aria appare stringersi sempre più, l'ossigeno cala vistosamente, qui tutto soffoca; i miei vestiti, improvvisamente, prendono a bruciare ed i lampioni ai lati della strada si sono tramutati in lebbrose braccia umane beffardamente danzanti con la mia incredulità : non emanano luce, ma solamente terrificanti scariche di elettricità, quasi si trattasse di sadici strumenti da elettroshock. …le premesse di questo lovecraftiano pomeriggio davano per scontato si dovesse trattare di una ‘pagina di ordinaria letteratura’, invece… invece è come se lo scrittore, tutto ad un tratto, fosse stato colto da un inspiegabile, misterioso malessere ed avesse gettato il suo vomito misto a sangue su quella stessa pagina, pagina che, un paio di attimi dopo, avrebbe assunto le stesse colorazioni e macabre sfumature di quel pomeriggio vissuto, ingoiato, e vomitato, forse, altre cento volte.

 

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Lo stato di decomposizione del mio corpo si è inesplicabilmente interrotto: riprendo le sembianze normali, la febbre scompare così come si sgretola l’acutissimo malessere che pareva non dovermi lasciare più scampo. Attorno a me il paesaggio è divenuto monocolore: completamente bianco, assai simile a quelle bozze estemporanee disegnate da un artista poco ispirato, senza emozione: ogni cosa, che si tratti di uomo, vegetale o animale, è divenuta sinonimo di sterilità. Un’unica certezza, limpida quanto la gioia che un tempo nutrivo per la vita, mi si schiude dinanzi alla coscienza: sono l’unico essere rimasto sulla faccia della Terra. Gli oceani sono stati trasformati in accozzaglie di schiumoso detersivo, esso vomitato con orrore dagli umani stessi. Il nostro pianeta si è tramutato in un universo piatto, senza sfumature, totalmente privo di odore, emozione, rumore. Vita. Non potrò che fare sesso con la mia fantasia, e flirtare con quel minuscolo schizzo di utopia rimastami, a meno che tutto ciò non si sia davvero trattato del macabro ‘parto’ di un pittore malato e schizophrenico, estremamente bisognoso di auto-distruggersi, uomo ed artista senza speranza, consegnatosi definitivamente al suo maligno destino di inqualificabile, sudicio, incorreggibile bohemiène da quattro soldi.

 

TELEMACO PEPE (LUCA COMANDUCCI)

 

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