19-08-2005

 

 

L'INCOSCIENZA DI UN FLUSSANTE (IN)COSCIENTE

(Replica, sulle onde del (ri)flusso, a Maresa Baur)

 

 

Benche' io non abbia mai letto un solo rigo di Joyce ne' tantomeno di Virginia Woolf (idem per Faulkner e Svevo ed altri 'minori flussanti'), ho sempre ritenuto la tecnica del cosiddetto 'flusso di coscienza' la mia forma di espressione prediletta, in quanto a me estremamente naturale. Per 'estremamente naturale' intendo la capacità, innata, di saper letterariamente tradurre voraginosi, fiammanti, caotici sprazzi di vita in perenne bilico tra quotidiano e surrealismo, sogno ed incubo, ossessione e senso di estasi; sorta di 'traduzione medianica del pensiero', quasi come se la nostra mente (convertitasi, per l'occasione, in 'medium') avesse la possibilità di captare onde dalla frequenza non ben definita, in diretto contatto con entità 'figlie legittime' di un lontano spazio a noi del tutto sconosciuto. E più è elevata la nostra sensibilità, maggiore sarà la capacità di percezione di queste dimensioni misteriose ed apparentemente irraggiungibili. Lo si potrebbe definire un 'condizionamento telepatico', attraverso il quale i nostri sensi vengono (piacevolmente, estaticamente) 'soggiogati', al fine di trasportare, lungo distanze siderali, nuovi, assurdi concetti di pensiero, parte dei quali nemmeno noi 'flussanti' saremmo in grado di spiegare razionalmente. Il 'flusso di coscienza' è anche sublime strumento di disgregazione della logica più ferrea ed incontestabile: è grazie a questo turbinoso, incalzante 'processo' che viene attuata la più alta forma di oltraggio al concetto di logica terrena; sebbene esso rischi di trasformarsi, e ben presto, in implacabile arma a doppio taglio: il 'flusso di coscienza', in quanto espressione più ardita ed ambiziosa di monologo interiore, irrispettosa della combinazione 'spazio-tempo', dovrà assolutamente beneficiare di una massa spropositata di fantasia, trainata da una innata capacità atta a captare i più profondi, nascosti ed inesplorati sottoboschi della mente umana, sorta di 'caleidoscopica perlustrazine all’interno del nostro più acuto, apparentemente inaccessibile subconscio/inconscio'.

Ecco: 'IL FLUSSO DI COSCIENZA DI UN PUNTO INTERROGATIVO QUALUNQUE DISPERSO IN UNA SEQUELA DI PERIODI QUALUNQUE’, da me composto e pubblicato su Neteditor il 5 Maggio 2005, è un (a)tipico esempio di ciò che il sottoscritto intende per ‘flusso di coscienza’: la sintassi narrativa (permettimi questo termine) appare scollacciata, enigmatica, senza un filo conduttore: chiaro ‘campione’ di destrutturazione della logica: il Nostro (alias Telemaco Pepe) entra in un mondo parallelo, palesemente distorto, ove i punti interrogativi costituiscono il comune denominatore; attorno al susseguirsi di più enigmi, emergono figure inquietanti (‘Mr. Flusso’, la ‘Prima Musa’, l’’Esercito Dei Puntini In Sospensione’), probabili ‘gestori’ dei loro Piccoli Universi, a loro volta facenti parte di un altro Universo. Fantasia, drammi personali ed assurde visioni oniriche si fondono ed il risultato è quanto descritto soprastantemente: la folle, implacabile dubbiosità del protagonista si sposa con certo non-sense ‘carrolliano’, sebbene al contempo l’atmosfera sia non del tutto definita o definibile: cupa, giocosa, enigmatica, contorta, insoluta, non catalogabile. Lo Spazio circostante diviene un aggroviglio multi-dimensionale ed il nostro protagonista (punto interrogativo qualunque disperso in una sequela di periodi qualunque), in quanto incapace di trovare la soluzione, non può far altro che sedersi su quegli irrisolvibili enigmi e cullarsi sulla inamovibile sospensione del tempo.

 

TELEMACO PEPE (LUCA COMANDUCCI)

 

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