23-10-2005

 

 

'L'INVENZIONE DI MOREL' secondo Alan J-K-68 Tasselli

 

Sappiate che 'L'INVENZIONE DI MOREL' (Emidio Greco, Italia, 1974) è una delle pellicole più turbanti e diabolicamente subliminali alle quali mi sia mai capitato di assistere. Tratto da un celebre romanzo di Adolfo Bioy Casares, il film di Greco è una cinica, spiazzante celebrazione dell'effimero, o, ancora meglio, dell'innata superbia dell'uomo, egli magistrale sintesi di infinita vanità devoto ad un inconvertibile principio di autodistruzione. Una pellicola raramente ipnotica, devastante nel suo lento susseguirsi di enigmi ed inquietanti stranezze, culminanti nell'agghiacciante (quale termine più indicativo?...) scoperta di un mondo che sembrava essere ma non è, di persone che non sono persone; fino a quel punto i personaggi e relativi intrallazzi da borghesucci-snob d’alta società, avevano funto  da spartiacque tra allucinazione e realtà, inquietudine e certezza, vita e sogno. La scena in cui il naufrago (Giulio Brogi), nascosto al di sotto di una roccia in riva al mare, si sveglia di soprassalto in quanto 'disturbato' da una musica 'vintage', fornisce un primo impatto di quell’atmosfera straniante e raccapricciante prossima ad impadronirsi della pellicola. A suo modo 'psichedelico' nella sua incertezza temporale, meravigliosamente lisergico nelle sue continue sospensioni emotive: Greco è magistrale nel diluire lentamente il film tramutandolo, man mano che il tempo scorre, in un inesplicabile plot kafkiano, all'interno del quale sembra regnare l'assurdo, l'inverosimile, l’inspiegabile.

Figura centrale della pellicola è Morel (John Steiner), uno stravagante inventore le cui movenze e parole formano una spessa cortina di mistificazione ed al contempo impenetrabile misteriosità: ferocemente ambiguo nelle sue affermazioni, è il personaggio che domina per magnetismo scenico ed angosciosa presenza fisica. Nasconde un segreto orribile, ma pare non preoccuparsene affatto: è il primo inequivocabile segno di innata superbia in un uomo senza scrupolo alcuno, un uomo che ha la formidabile presunzione di credere l’immortalità possa essere ‘incastrata’ dalla scienza attraverso un’infernale macchina di sua creazione: appunto, ‘l’invenzione’ che dà il titolo a film e romanzo. Un affronto a Madre Natura, prima che ai limiti della scienza stessa (ma in fondo vogliono dire la stessa cosa: là dove la scienza fallisce iniziano le incorruttibili leggi della natura: impossibile tentare di scavalcarle, o, come nel caso di Morel, di oltraggiarle).

‘L’INVENZIONE DI MOREL’ potrebbe benissimo fungere da originale excursus metacinematografico, in quanto ‘schermo’ in cui si alternano finzione, edonismo, illusione, effimero: la realtà (rappresentata dal naufrago) si sovrappone alle proiezioni ‘iniettate’ sull’isola dalla macchina di Morel: è come se uno spettatore tentasse di ‘penetrare’ attraverso le immagini di un film proiettato in una sala cinematografica, per poi ‘flirtare’ con i suoi stessi protagonisti: l’immortalità viene dipinta come chimera dell’uomo, essa supremo sinonimo di capriccio, tentazione, superficialità, avidità, lussuria, super-omismo, mitomania, ‘non-valori’ che costituiscono l’essenza morale di Morel, ma al contempo elementi-cardine formanti quel mondo ovattato che è il Cinema. Magistrale testimonianza dell’impossibile interazione tra realtà ed illusione (e chiave di interpretazione del film) è la dichiarazione d’amore che il naufrago porge a Faustine (Anna Karina), donna dalla personalità oscura ed enigmatica, anch’ella un’illusione frutto dell’invenzione di Morel. Nonostante il fuggiasco ad un certo punto riesca a svelare l’arcano, oramai è troppo tardi per tornare indietro: Faustine, o meglio, la sua proiezione programmata all’infinito, è divenuta ossessione pura del Nostro: un’’ossessione’ tipicamente ‘cinematografica’, alla stessa maniera dello spettatore che si innamora perdutamente della sua eroina in celluloide, ma impossibilitato nel raggiungerla, nel poterla toccare e condividere con lei il suo sentimento: irraggiungibilità che sfocia nella frustrazione di un uomo incapace di rinunciare alle proprie stupide, assurde illusioni, per poi abbandonarsi a cieche, sciocche utopie, fino ad annullare completamente se stesso.

Ma il Cinema, forse, non è tutto questo?…

 

ALAN J-K-68 TASSELLI (LUCA COMANDUCCI)

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