16-01-2007

 

 

 

‘FANNY & ALEXANDER’

 

secondo Alan J-K-68 Tasselli alias Luca Comanducci

 

 

Un sontuoso affresco dell'animo umano, un caleidoscopico 'peplum sulla gamma dei sentimenti', dalla sensibilità più acuta alla grettitudine più infima: una panoramica a 360° sulle sfumature dell’essere umano, all’interno della quale la religione (impersonata dal perfido Vergerus) assume connotati quasi ‘demoniaci’ e la fantasia è giudicata come blasfema. Una monumentale digressione sul concetto stesso di esistenza, a tratti inquietante ed onirica, tra esseri viventi e fantasmi, mummie ed apparizioni, sogno e realtà, surrealismo e magia. Una impareggiabile lezione esistenzial-filosofica impartita da Ingmar Bergman, forse il vertice cinematografico assoluto del grande regista svedese: le vicende dei protagonisti implicati, ad un certo punto, sembrano confluire l’una nell’altra, come attori di teatro che si scambiano battute su di un palcoscenico, attraverso un processo di conturbante metafisicità. Un’elegante, pantagruelica danza sulle oblique, talvolta feroci ed imprevedibili sfaccettature che la vita assume durante il lento, doloroso evolversi dell’uomo.

La vita è un flusso continuo, una rappresentazione teatrale senza soluzione di continuità, all’interno della quale più personaggi si sovrappongono e si scontrano con altri in scena, mentre vengono osservati da un pubblico sempre più curioso e catturato dal magnetismo dello spettacolo, alla stessa maniera dello  spettatore che viene risucchiato, con progressiva intensità, dalla pellicola di Bergman. La nostra esistenza non è esattamente quella che ci sembra di vivere: subentrano aspetti visibili ed altri invisibili, episodi razionali ed irrazionali, oscuri enigmi che nemmeno la Scienza più approfondita ed inappuntabile riesce a sciogliere. La logica sfocia nell’inesplicabile ed anti-logico e viceversa, obbedendo ad un processo inarrestabile, infinito, di cui noi siamo appena comparse, passanti, elementi (quasi) passivi.

E non poteva certo mancare lo sferzante, spietato tocco autobiografico del cineasta: Padre Vergerus, (quanto mai (e mi vergogno quasi a dirlo, vista la limpidezza del parallelismo che ci viene proposto) riecheggiante la durissima, intransigente figura paterna) contrapposto a Fanny/Bergman, sua più netta antitesi, con quel suo strafottente disincanto ad infrangere la feroce rigidità di Vergerus/Erik*, per il quale, repressione fisica e morale, vanno a formare un tutt’uno, sinergia pressoché immutabile.

Io mi inoltro nella visione di un film di Bergman conscio non si tratti di Cinema inteso come ‘passatempo’ e/o ‘divertimento’, bensì ultra-certo si tratti di veri e propri ‘trattati sull’esistenza’, acuminate, spesso scomode (e comunque indispensabili) digressioni all’interno della psiche umana.

In definitiva, il manifesto bergmaniano par excellence.

 

 

Alan J-K-68 Tasselli (Luca Comanducci)

 

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