23-04-2005

 

 

‘IL VECCHIO SENZA SOLE’

 

 

di Telemaco Pepe (Luca Comanducci)

 

 

Ho sempre odiato il Sole, ma quel giorno sembrava irradiasse più calore del solito, quasi fosse in idilliaca sintonia con le celebrazioni che di lì a poco avrebbero 'gioiosamente travolto' Babbaccombe, il paese in cui vivo da oramai 40 anni. Fuori sia persone che oggetti ‘esplodono’ vitalità  ed inusuale 'joie de vivre', ai miei occhi non sono che 'specchietti luccicantissimi' in grado di accecare anche l'essere vivente più insensibile al mondo. Ma c'è Sole, troppo Sole. E troppa luce, per un uomo la cui sensibilità equivale ad una serie di 'pugnalate' inferte da un pluri-omicida seriale. Un odore, fortissimo, spossante, insolitamente ficcante, di margherite schiacciate ha già corrotto i miei sensi; e gli occhi, i miei maledettamente saturi occhi, non sono che lo specchio di un eterno rimpianto. Bambini con viole appiccicate alle labbra corrono spasmodicamente divorando metri e metri di campi in fiore, sfidando, prima, e cavalcando, poi, il vento. Il mio udito, flebile ed evanescente, non percepisce che grida strozzate, distorte, ad intermittenza, certe volte proprio non vorrebbero sentire, non vorrebbero ascoltare, non vorrebbero e basta. Giù, lungo un grande ed oscuro tunnel, il mio ego 'flirta con gli abissi', ponendosi in raccapricciante contrasto con lo spumeggiante entusiasmo di quei meravigliosi, aggrazianti fanciulli che sembrano aver preso il mondo per mano. Lunghe note di una tromba appena soffiata annunciano le celebrazioni dedicate ai caduti di guerra, timidi accenni, per poi gradualmente esplodere in un roboante tripudio di suoni e colori. Migliaia di coriandoli e stelle filanti urtano il mio viso già in lacrime, lacrime per domande che non hanno mai avuto risposta, lacrime che qualcuno potrebbe definire 'senza senso', sciocche, prive di un perche'. Là fuori nessuno sa (e nessuno dovrà sapere) che dentro sto morendo... o forse sono già morto, 22 anni fa, senza saperlo... Un giorno di Settembre, un giorno qualunque, in un momento qualunque, un botto assordante ed io che divenni un altro io… 6 mesi in coma, il risveglio, poi il buio… E quei ritualistici, incessanti, terrificanti quesiti: ‘Cosa mi è successo? Perche’ sono qui? …e soprattutto: CHI SONO?… COME MI CHIAMO?… Fu come rinascere ed al contempo morire una seconda volta…. e venni lasciato a vagare come un ‘non morto’ nella terra dei vivi…  Altrimenti come definireste un uomo privato di ogni collegamento temporale a ritroso? Resettato, cancellato, spazzato via per sempre… Dunque avrei ignorato la mia 'morte'... ma in fondo, se tutti, fino ad ora, si sono sadicamente divertiti ad ignorarmi, perche' non commettere un dolce oltraggio come questo?... Perche' non credere in un flusso esistenziale avente ne' inizio ne' fine? Perche' non avere il diritto di pensare di essere stati creati per uno scopo mai appurato,  mai decifrato, in vita?... E perche' non credere che tale scopo possa realizzarsi, 'schiarirsi' nell'istante in cui diverrò un angelo fluttuante da una stanza all'altra del Paradiso?... Da 22 anni la mia esistenza è suprema sintesi dell’assurdo, una perpetua oscillazione in un inedito subconscio, un continuo ‘divieto di accesso’ a sentieri sbarrati da altissime, invalicabili mura. E, nel frattempo, il tardo mattino scema in primi accenni di catartico pomeriggio: l’atmosfera, gonfia di umidità ed intensa esalazione primaverile, raggiunge ora il suo picco emotivo: io non posso fare a meno di discostare le mie peccaminosamente errabonde elucubrazioni dalla spudorata fierezza degli sguardi altrui. Ed è così che mi accingo a muovermi in direzione del vecchio cimitero di Babbaccombe, ove è sepolta la mia dolcissima consorte, Mary-Anne, deceduta circa 30 anni fa, a causa di un’emorragia cerebrale, dopo essere caduta dalla cima delle scale ed aver sbattuto con violenza il capo. Almeno… è tutto ciò che mi hanno riferito, con impagabile tatto, i medici che mi curarono nella fase post-operatoria, durante il delicatissimo periodo di convalescenza. Tutt’ora non ricordo nulla di quell’accaduto… nulla… nulla… Proprio nulla. E’ la prima volta, dalla sua morte, che faccio visita alla sua tomba. Supero il grande cancello d’ingresso, la suola delle mie scarpe che si trascina stancamente lungo gli stretti sentieri coperti di ghiaia, ed eccomi giunto a destinazione: una lapide spoglia, senza fiori, costruita in vecchissimo, fatiscente marmo color latte. Attorno, nettamente distanti e fra loro raggruppate, emergono imperiose le altre lapidi del cimitero, tutte adornate di rose rosse, la cui freschezza corromperebbe l’olfatto di chiunque. Non posso che piangere su quel grezzo, inespressivo pezzo di pietra, uno sfogo il cui unico scopo pare essere quello di regalare, dopo decenni di oblìo ed egoismi altrui, una scintilla di genuina commozione. Non ho nemmeno una margherita da lasciarle, solo un insopprimibile desiderio di recuperare anche il più insignificante dei ricordi: come vorrei poter solo rievocare il nostro primo bacio… mi dispiace, tesoro mio, avrai solo il mio pianto, come ricordo nonche’ indistinto ‘ornamento’… no, in questo cimitero non tornerò. Si, non vi tornerò mai più. Non posso. E non devo. Ora mi rimetterò sui miei sordi passi, verso casa. S’è fatta sera. Le celebrazioni si sono concluse da circa mezz’ora, ma per me oggi non c’è stato nulla da celebrare: davanti a ‘si’ tanta vitalità e travolgenti sorrisi, non sono che un uomo ‘cieco’ ed immune ad ogni emozione. Un uomo, un reduce di guerra, un vecchio ‘senza sole’. …quel Sole che ho smarrito, e per sempre, 22 anni fa, in un giorno qualunque, di un Settembre qualunque. Nel bel mezzo di una vita. Qualunque.

 

TELEMACO PEPE (LUCA COMANDUCCI)

 

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