26-10-2002  

 

 

‘Benvenuti al Moonchild Park’

 

Cronaca ordinaria in un giorno ordinario di un Autunno (ordinario)

 

Schegge di sole rimbalzano a sussulti sui fili d'erba spossati da una pioggia passeggera. Osservo suadenti gambe di giovane donna compiere passettini di gentile erotismo che eccitano la mia mente ancora assopita in una catarsi di compiaciuta immobilita', assuefatta, "imprigionata" da continui, erratici sogni su di un errabondo facente strani incontri al Parco, semi-deserto e spettrale nelle sue evoluzioni notturne. I capelli sciolti e liquidi, frutto di notti insonni, capelli mai lavati, mai asciugati, mai pettinati, lasciati fluire secondo le inclinazioni umorali, mentre i miei pensieri subiscono sferzanti contorsioni, si ripiegano perpetuamente, finche' decido di rimettermi sul letto, io pigro incostante e vittima di devolutive trasformazioni dell'ego ... dormire, e' la chiave per la chiusura all'accesso di nuovi dissidi interni.

Sono le 15:00. Il parco e' ancora brulicante di giovani donne al passeggio e di bambini la cui ingenuita' sembra rivelarsi come l'antidoto piu' congeniale onde dimenticare la frenesia di un mondo che gira al contrario su se stesso. Scendo per abbracciare quel gentile rumore di grida pacate e di risate spiegate, simbolo di onnipotenza giovanile, sinonimo di disincantata armonia con il lato illuminato della nostra coscienza, mai cosi' prodigo nel nutrirsi della spensieratezza profusa da passanti e giocolieri del pallone. Sublime disordine, celestiale impasto di colori, candore estremo ma controllato, equilibrio di voce e contro-voce, di canto e stonatura, uomo e donna, bambino ed adulto.

Serenita'. Platealita'. Fraternita'.

Eternita'.

Ore 16:00. "Scendo dal mio sogno e silenziosamente mi contorco. Steso ed apparentemente appagato, soave e levigato. Baciato, lei fugge e poi scompare. Due minuti di stordimento, di nuovo il Nulla, mi ripiego sul prato, umido ed accogliente. Il volume si abbassa progressivamente fino all'annullamento totale. Il colore si attenua, il Sole e' imperioso e prepotente, ma oramai ho "spento" lo sguardo e tramortito ogni piu' velleitario, "disturbante" pensiero; la sagra delle digressioni oniriche ha inizio.

Ore 19:30. Calano le prime, impercettibili oimbre serali, niente piu' bambini, niente piu' sperduta giocosita', parco orfano di rincorse a perdifiato o prevedibili, comiche cadute e ruzzoloni dalla amabile rumorosita'. Solo qualche timida coppia di innamorati, profusi in prolungate effusioni, prima del loro rientro verso casa. Un paio di vecchietti barcollano sino ad arrivare alla meta, stancamente, ansimanti e bisognosi di un appoggio. Ora sono al di la' della recinzione del parco. Seguono due ore di transizione. La sera chiama e pretende di entrare in scena. Il giorno accondiscende e si fa da parte, la Luna invoca e serpeggia fra i rami di alberi ora aventi le sembianze di giganti oscuri, ma gentili, futuri padroni del parco il cui paesaggio risulta essere via via sempre piu'sparuto ed incosciente di se stesso.

Tutti in casa. Sono le 21:40. Praticamente solo nel parco. Cambiano i protagonisti, costoro "scarti" del giorno e figli di una notte pronta a divorarli ed a divorarsi, forse anche i miei pensieri, fino a quel momento incontaminati, adesso lievemente "tentati" da un manto oscuro che si fa largo tra piccole foglie di cespugli dissipati da decine di pallonate calcistiche, durante infinite partite pomeridiane condotte da piccoli angeli indiavolati. Ancora al centro del prato, non fa freddo, non ho freddo, non sento il vento soffiare. Il parco cambia radicalmente faccia: e' sera avanzata, completamente solo, ha inizio un piccolo concerto al piano di musica classica, proveniente da una casa non molto distante. La Luna, eroticamente, si infiltra arrogante tra gli alberi e si staglia sul mio viso, annunciando il Terzo Atto di Vita al "Moonchild Park".

22:45. Ancora nel parco. Ancora steso. Una lieve, tenue "goccia" di terrore s'incunea, bastarda e repentina, nella mia placidita', inespugnabile fino a pochi attimi prima. Il concerto al piano e' terminato. Ho l'impressione di sentire la puntina di un vecchio giradischi battere lo stesso punto del solco, ripetendo all'infinito un garbato, fastidioso fruscio, indicativo dei molti anni che quel disco ha sulla groppa: 10, 20, 30... forse anche 50...... Ma che importa?.... Dopo 20 minuti di monotono grattare, qualcuno si decide a sollevare la dispettosa puntina. Ora il parco e' senza musica. Senza grida. Senza bambini. Piu' niente e nessuno. Immensamente solo. Il mio affannoso, incostante respiro e' rimasto l'unica "colonna sonora" udibile e riscontrabile. Medito di alzarmi onde poter completare il mio processo dissolutivo a casa. Decido invece di restare. Lunghe ombre, scheletriche e nervose, si allungano minacciosamente e con impeto, affettando come lame il manto verde del "Moonchild Park". Dietro il cespuglio a Nord del parco sento muoversi qualcosa. Due occhi bianchissimi ed altamente spettrali fissano il mio laconico stupore. Un canto strozzato e dimesso, per nulla intonato, annuncia il sopraggiungere di un barbone, barcollante, ripiegato su se stesso, incapace di muovere razionalmente i propri arti inferiori... forse in attesa di un ultimo sussulto. Davvero l'ultimo. Strane forme animali si sovrappongono, un ratto sembra sfiorare il mio braccio sinistro, una sinuosa biscia circumnaviga curiosa il mio corpo, emettendo un nauseante suono sinonimo di viscidita' e nervosa fame. Nel frattempo l'eco di quel barbone scompare, disperso in chissa' quale angolo di vita buia e crepuscolare. Entra in scena uno spostato, forse un drogato, la cui sagoma non e' ben identificabile da quaggiu'. Ha qualcosa in mano.... Una siringa?.... Una pistola?.... Un oggetto da nascondere, a seguito di uno stupro.... o di un omicidio...?... Forse e'... forse non e'... forse non sara'... Mai piu'. Orchi, serpenti, spacciatori che si scambiano, sotto i miei occhi, sporchi accordi e discussioni su eventuali contro-partite. Il manto del parco ora non e' piu' immune da oscenita' od asperita', siringhe sporche di sangue infetto verranno a breve sparpagliate sul terreno, prendendo il posto delle effusioni di giovani ingenui innamorati del pomeriggio antecedente.

E' mezzanotte, ed il parco si "spegne", inesorabilmente. Un flauto traverso, sinuoso quanto ancestrale e fiabesco, annuncia la fine dello spettacolo, ed il sipario cala, lentamente, silenziosamente. E mentre il sipario tocca il suolo del palcoscenico, io mi riaccendo e faccio ritorno a casa, evitando i lati oscuri del parco. Per riabbracciare il lato illuminato della vita. E non abbandonarlo mai piu'.

TELEMACO PEPE

 

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